La pasta De Cecco o la Del Verde penso che sia nota persino agli eschimesi, così come è nota la località in cui queste vengono prodotte. Parliamo ovviamente di Fara San Martino un piccolo centro di appena 1750 anime, collocato ai piedi della Majella.
Ciò che non tutti però sanno è che in questa località incantevole, tra le gole di questa montagna, che si erge nel paese in tutto il suo splendore e magnificenza, tra la nuda roccia, in un paesaggio davvero fuori dal comune si nasconde una struttura risalente all’anno 829 d.C. e riportata alla luce solo nel 2006.
Si tratta del monastero di San Martino in valle, un luogo di culto davvero unico la cui storia è ancora tutta da scoprire. Per raggiungerlo però è necessario attraversare delle gole particolarmente suggestive, al cui cospetto non si può che restare estasiati di cotanta bellezza.
Le gole di San Martino
Le Gole di San Martino sono l’ingresso di uno dei più lunghi valloni appenninici, il vallone di Santo Spirito, che da Fara San Martino sale sul tetto della Majella. Il loro passaggio è largo poco più di due metri e profondo una decina, nell’attraversarle sembra davvero di essere inghiottiti dalla terra.
Secondo la leggenda fu Fra Martino che aprì il valico tra le rocce per permettere agli abitanti del posto di raggiungere i pascoli verdi e le sorgenti più in alto.
A testimoniare il tocco miracoloso del santo ci sarebbero i segni rotondi dei gomiti usati per aprire ii varco e lasciati sulla roccia.
Dopo l’attraversamento tra la nuda roccia, in un paesaggio davvero fuori dal comune si nasconde una struttura risalente all’anno 829 d.C. e riportata alla luce solo nel 2006.
Il monastero di San Martino in valle
Abbiamo poche notizie della struttura, le prime risalgono all’829 d.C. e la si attesta tra i possedimenti del monastero di Santo Stefano in Lucania di Tornareccio, quale donazione di Pipino il Breve, figlio di Carlo Magno.
Il monastero passò di mano in mano di diversi vescovi fino al 1451, anno in cui i contrasti tra monaci e vescovi si fecero insanabili, al punto che su ordine del papa Nicolò V il monastero venne soppresso e i suoi beni devoluti al Capitolo Vaticano.
Nel 1789 il monastero torna di nuovo tra i possedimenti dell’arcidiocesi di Chieti ma l’8 settembre a causa di un’alluvione che ricoprì la vallata di detriti, venne definitivamente abbandonato. I primi scavi per il recupero avvennero nel 1891, ma solo nel 2009 la struttura viene riportata alla luce.
I resti dell’abbazia mostrano un cancello verso un cortile interno delimitato da un portico a tre arcate, sul lato nord del quale si trova un campanile a vela. L’interno della chiesa doveva essere su tre navate con una pavimentazione a lastre di pietra.
Un muro a tre arcate separa la navata centrale da quella settentrionale, da dove di accede a quello che doveva essere il nucleo iniziale della chiesa, scavato nella roccia, che fa ipotizzare la nascita del luogo di culto come eremo.
Rossella Tirimacco
Foto: Antonio La Civita
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