Chi vive tra i lupi, impara a ululare.
proverbio
Premessa
Le storie di lupi mannari non sono mai mancate qui in Abruzzo, ogni paese della regione può vantare la propria storia o leggenda di esseri umani che all’improvviso, nelle notti di luna piena si trasformavano in “licantropi”. Ma da cosa hanno origine certe storie? Per comprendere l’origine di figure come quella del lupo mannaro, figure che possono apparire ai nostri occhi come “fantasiose” o derivanti dalla semplice superstizione popolare, è necessario anzitutto comprendere il rapporto tra l’uomo e il lupo e quando entrambi si trovano a convivere e a lottare per la propria sopravvivenza nello stesso territorio. Sappiamo che l’ambiente svolge un ruolo fondamentale per l’individuo, e quando questo è dominato da “creature pericolose”, l’uomo si troverà a combattere contro un nemico che richiede grande forza e strordinario coraggio. Se infatti, da una parte il lupo rappresentava il predatore da abbattere, dall’altra, la natura dell’animale, e le sue caratteristiche quali intelligenza e astuzia, ne facevano un nemico da “rispettare”. L’uccisione di un lupo, non rappresentava la semplice morte di una bestia ma rivestiva soprattutto un significato spirituale, i vincitore infatti, ne avrebbe incarnato anche le caratteristiche dell’animale e il suo spirito si sarebbe “riversato” nell’uomo. Nei secoli a venire, e con l’avvento del cristianesimo, il lupo si troverà ad incarnare la figura del “male assoluto”, non più un nemico da rispettare ma un male da estirpare “a tutti i costi”. E’ quella un’epoca dove il lato oscuro della psiche umana veniva proiettata verso l’ animale-simbolo, che si troverà a svolgere la funzione di nemico designato delle paure inconsce dell’uomo e delle sue più ancestrali pulsioni e percezioni. Nascono così storie e leggende su uomini-lupo o lupi mannari; storie a metà tra favola e leggenda… storie che ancora oggi ci si chiede quanto ci sia di vero. Io stessa riportola testimonianza di chi è cresciuta con queste storie, ed in parte il mio amore per il lupo è giustificato dalla personale vicenda sui lupi mannari. Il mio trisavolo infatti, venne additato come “lupo mannaro”, per tale ragione all’epoca, sembra che lo rinchiusero in una gabbia e gli spararono. Non è una bella storia, ma mi è servita molto per cercare di capire lo spirito di un’epoca e di un territorio che non si finisce mai di conoscere abbastanza.
Leggende di lupi mannari in Abruzzo- tratto da “Licantropi italiani”
Domenico Priore riferisce che il lupo mannaro è un uomo-lupo, ossia una semplice allucinazione per cui un uomo sia convinto di essere un lupo e spinto a vagare urlando nella notte finché non trova dell’acqua, in cui può tuffarsi e tornare uomo. Per questo motivo il posseduto, o i suoi familiari, devono conservare un secchio d’acqua vicino alla porta di casa, per permettergli di bagnarsi e ritrovare la forma umana (o la convinzione di essere tornato uomo).
A tal proposito mi sono sempre chiesta il perchè delle bottiglie dell’acqua tenute fuori le porte delle case. Anche se secondo alcuni, tale “mezzo”, servirebbe come espediente per tenere lontani gatti e randagi, ma la similitudine con i secchi d’acqua tenuti fuori le porte di casa dei “lupi mannari”, è troppo forte per non prenderla in considerazione. Forse la vecchia usanza è stata “trasformata” e rielaborata in un nuovo fenomeno folkloristico? Chissà…
Gennaro Finnamore mette in guardia dai nati durante la notte di Natale: se sono femmine saranno streghe, se sono maschi diverranno lupi mannari (lopemanari). Per evitarlo, il padre ha una sola possibilità: per tre notti di Natale consecutive deve marchiare il piede del figlio con un ferro rovente, facendoci una piccola croce, altrimenti, raggiunti i vent’anni, la maledizione si attiva e i figli diventano licantropi (o streghe, se femmine). Questa condizione comunque non è eterna, in quanto potranno tornare umani quando qualcuno, ferendoli, farà perdere loro del sangue, cosa non semplice però dato che il licantropo a mezzanotte diventa un lupo feroce e se ne va in giro ringhiando, ululando e rotolandosi in terra. Un modo per sconfiggerlo è ricordarsi che non può salire le scale, oppure colpirlo dall’alto, magari da una finestra di un piano superiore, facendogli cadere in testa qualcosa che, ferendolo, lo renda libero. Lu lope menare, secondo Finnamore, “nella notte di Natale va in giro urlando, specialmente se arriva a un crocicchio, capecròce, dove si suole attaccare le crocine di cera nella processione dell’Ascensione.”
Questa particolare scelta temporale (nascita nella notte di Natale), tipica delle leggende dell’Italia Meridionale, ci viene spiegata nel saggio di Cesare Bermani sulla stregoneria popolare: “nascere in quei giorni significa compiere involontario atto desacralizzante in rapporto alla nascita di Cristo o alla particolare natura di vigilia che [essi] rivestono”. Nella sua ricerca nel comune di Castellalto (TE), sempre Bermani ci informa che in quella zona “le crisi del lupo mannaro possono avvenire soltanto nelle notti di mercoledì e venerdì”. Quando il licantropo torna a casa, deve bussare tre volte, affinché la moglie gli apra, segno convenzionale che stabilisce (o, quantomeno, dovrebbe stabilire) una ripresa di coscienza da parte dell’uomo. Se così non avviene o se la moglie, incautamente, apre prima del terzo battito alla porta, le conseguenze potrebbero essere terribili, per lei.
Anche la pittrice Estella Canziani, dopo aver a lungo viaggiato per l’Italia, scrive di lupi mannari in Abruzzo, in Attraverso gli Appennini e le terre degli Abruzzi. A causa di una cattiva stella (ossia una sbagliata data di nascita, la notte di Natale), alcune persone sono destinate a diventare lupi minari, una condizione che loro stessi sentono e per cui possono prepararsi, radunando tutto il bestiame in una stalla e chiudendocelo, in modo da non danneggiarlo. Poi versano acqua nella polvere e si rotolano nella fanghiglia, trasformandosi in licantropi, con gli occhi rossi di sangue e le mascelle spalancate e avide, e ululando selvaggiamente, fino al passare della notte.
Compare, nello scritto della Canziani, una caratteristica tipicamente italiana dei licantropi, ossia una certa umanità, un tentativo di contrastare, con piccoli gesti, la bestialità dirompente del lupo, che si manifesta, appunto, nel rinchiudere le bestie nella stalla o nell’invitare un amico ad allontanarsi prima della trasformazione, consigliandolo di rifugiarsi in alto (in cima a un fienile ad esempio), in quanto consapevoli di non poterlo raggiungere, dato che il licantropo non può salire più di tre scalini.
Come accaduto di frequente, il Cristianesimo ha cercato di integrare il proprio messaggio nelle preesistenti tradizioni pagane, piuttosto che cancellarle nettamente, rischiando di inimicarsi il popolo. Un esempio viene dal miracolo di San Domenico a Cocullo, che riuscì a recuperare un neonato rapito da un lupo, riportandolo dalla madre addolorata e rendendo mansueto il feroce animale. Ecco quindi il santo cristiano che vince sull’animale totemico della regione, il lupo, appunto, sottomettendolo alla nuova religione cristiana.
Una leggenda simile viene dalla zona dell’Aquila ed è relativa a San Raniero (vescovo dell’Aquila) che, come San Domenico, riporta alla madre un bambino rapito da un lupo mannaro, semplicemente facendo pochi tocchi alla campana.
Rossella Tirimacco
Bibliografia Attraverso gli Appennini e le terre degli Abruzzi, Estella Canziani, 1928.
Fonte articolo “Leggende di lupi mannari in Abruzzo” :http://www.landeincantate.it/licantropi-italiani/