LE PIETRE DEL VITUPERIO IN ABRUZZO

Ancora oggi, per indicare una persona che è andata in rovina, si dice che “è rimasta in mutande” oppure, nel nord Italia, che “è rimasta in braghe di tela”.

Queste espressioni provengono dal Medioevo e sono la diretta conseguenza di una condanna che veniva inflitta a chi non era in grado di pagare i propri debiti. Si trattava di una sorta di berlina, di espiazione pubblica, che in alcune parti d’Italia sostituiva punizioni ben più gravi, come una serie di frustate, o il carcere.

A parte qualche variante territoriale, generalmente la procedura consisteva nel portare il colpevole nella piazza pubblica, vestito solo di un paio di braghe, da cui deriva l’espressione “restare in mutande”; qui doveva battere, sedendosi, tre volte le natiche su una pietra, detta del “vituperio”, pronunciando ad ogni seduta la frase «cedo bonis», ossia “rinuncio a tutti i miei beni” (sottinteso “in favore dei creditori”).

In questa maniera, se da una parte il malcapitato risolveva il problema del pagamento dei suoi debiti, dall’altra però la sua poca o nulla solvibilità veniva resa pubblica e, da quel giorno, difficilmente avrebbe trovato qualcuno disposto a fargli credito.

La Pietra del Vituperio a Pescocostanzo (AQ)
Si hanno notizie di “pietre del vituperio” in alcune località abruzzesi.

A PESCOCOSTANZO (Aq), ai piedi della scalinata che conduce alla Basilica di Santa Maria del Colle, si trova una di queste “pietre”, di forma cilindrica alta circa 80 centimetri e del diametro di 70 centimetri. Nel caso di Pescocostanzo il debitore doveva restare seduto sulla pietra per un certo periodo di tempo esposto al pubblico ludibrio, senza dover recitare alcuna formula.

Pescocostanzo- In basso a destra è visibile la pietra del vituperio.

A TAGLIACOZZO (Aq) la “pietra” era chiamata “pilozzo” ed era un sedile in pietra con un foro al centro. Era situata in piazza Obelisco ma nel 1825 venne sostituita da una fontana a forma di obelisco.

(dal sito: www.festivaldelmedioevo.it)

Nel Largo dell’Antera a PACENTRO (Aq) si trova la cosiddetta “preta tonna”, una pietra incavata sulla quale il debitore era costretto a sedersi nudo davanti a tutta la comunità: una umiliazione pubblica, vergognosa e scandalosa. Secondo la tradizione popolare intorno ad essa le streghe tenevano i Sabba per la preparazione dell’unguento che le faceva volare. Per preservare l’importante reperto da danni irreparabili dovuti al ristagno dell’acqua e al conseguente gelo d’inverno, l’imboccatura negli ultimi anni è stata turata.

Pacentro- La “preta tonna”

Anche a CASTILENTI (Te), come riferisce Luigi Braccili, giornalista di Roseto degli Abruzzi scomparso nel 2014, “[…] esiste ancora oggi una grossa pietra di forma parallelepipeda chiamata tomolo. Oggi la pietra si trova ai piedi di un grosso olmo all’inizio di un viale della circonvallazione del paese, ma un tempo invece era sistemata nella piazzetta al termine di un piano inclinato che porta alla chiesa madre. Lu tòmmele, così infatti viene ancora chiamata la grossa pietra, serviva per farvi sedere quelli che subivano un fallimento. Era in un certo senso una specie di gogna, un mezzo ingeneroso per esporre al ludibrio coloro che non avevano saputo tener fede agli impegni finanziari”.

Ma perché questa pietra, in genere incavata, è chiamata anche “lu tummele” o “lu tòmmele”? In passato il tomolo era la misura di capacità per cereali, soprattutto grano. La funzione di questo recipiente era quella di misurare la quantità di cereali data in prestito e che doveva essere restituita misurata nello stesso contenitore, con l’aggiunta di una certa dose dello stesso cereale come interesse. Se la restituzione non avveniva, il creditore poteva vendicarsi costringendo, appunto, il debitore a sedersi su “lu tummele” con il sedere completamente nudo. Ancora oggi in alcune zone dell’Abruzzo, riferendosi a una persona incorsa in un fallimento, si dice: “Quello ha messo il…sedere a lu tòmmele”.

Articolo di : Guida Turistica Abruzzo Periegeta

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