LA LEZIONE DI JUAN CARRITO

di Dario Rapino
Mi accingo a scrivere queste note con la frustrante consapevolezza che non varranno a mutare l’andamento delle cose su questo martoriato Pianeta.
Sono conscio del fatto che le mie parole dureranno quanto un’orma su una spiaggia sabbiosa. Il vento della dimenticanza le confineranno in un punto oscuro ed indefinito.
Perciò scrivo per me stesso, per tentare di sciogliere il dolore che mi stringe il cuore e mi lascia senza respiro da quando ieri sera ho saputo della morte del nostro “piccolo” Carrito, uno splendido giovanissimo esemplare di Orso marsicano, rimasto ucciso dopo l’investimento di un’auto a Castel di Sangro.
Ho trascorso la notte con gli occhi rivolti fissi verso il soffitto della mia stanza. Neppure le fusa di Silvestro sono riuscite a lenire la mia sofferenza.
Vorrei però lasciare da parte la poesia, per così dire, e parlare di questa vicenda e di tutto ciò che ad essa è collegata in modo razionale, con la necessaria dose di distacco che il tema richiede. Non so se riuscirò, ma ci provo, perché nulla è più deleterio che affrontare i temi della conservazione con impeti di emotività.
Mi concedo però prima brevi sprazzi di ricordi di questo orso che vidi per la prima volta arrampicato pericolosamente su esili rami di ciliegio a Villalago. Era il giugno del 2020 e Carrito aveva solo pochi mesi. Era il più piccolo di quattro orsetti dati alla luce dalla mitica Amarena, a sua volta figlia di un’altra orsa simbolo delle nostre montagne, Gemma. Carrito era il più piccolo dei quattro, un esserino davvero minuto che con molta fatica teneva il passo della madre e dei fratelli. Con i miei amici Carlo e Giosuè ci chiedevamo se quello scricciolo ce l’avrebbe fatta a diventare adulto, ben sapendo che la mortalità infantile tra gli orsi è molto alta, arrivando al 50%. Quando vidi che Carrito, anziché faticare per cogliere ciliegie, iniziò a starsene ai piedi dell’albero, aspettando che queste cadessero per via degli scossoni dati in alto dalla madre e dai fratelli, capii che sì, che Carrito ce l’avrebbe fatta.
Foto di Dario Rapino- Juan Carrito cucciolo
Carrito era quello che si dice un orso confidente, ossia un animale che non conosce il timore per l’uomo e che per tale ragione si inoltra nei paesi ed attraversa strade. Un orso confidente, così come qualsiasi altro selvatico confidente, è un orso destinato a vivere in perenne equilibrio tra la vita e la morte.
Le ragioni per le quali un orso divenga confidente (preferisco questo termine ad orso problematico, datosi che sulla Terra l’unica specie problematica siamo noi e poi dirò perché) non sono del tutto chiare, siamo a livello di ipotesi.
Certo l’imprinting dato dalla madre è importante, ma ciò non spiegherebbe perché gli altri fratelli si siano avviati verso una vita selvatica. Certo la costante ed asfissiante presenza umana non aiuta l’orso a stare alla larga da noi. Ma io penso che la cosa debba appartenere a qualche gene nascosto, frutto di una coabitazione della specie millenaria con l’uomo, così come è stato accertato che la particolare mitezza del marsicano affondi le radici nei suoi geni. Vi sono poi ovviamente una serie infinita di cause concorrenti e concomitanti, come ad esempio la necessità delle femmine con cuccioli di evitare l’incontro con i maschi nelle alte quote e così via.
Tale incertezza sulla genesi della confidenzialità di alcuni orsi (e, ripeto, alcuni, un numero limitatissimo che non supera i 4-5 esemplari su una popolazione stimata di circa 60-70 esemplari) si riflette inevitabilmente sulla loro gestione e sulle pratiche di dissuasione, spesso, ahimè, semplificando problemi complessi e prendendosela con comodi capri espiatori, come i fotografi (che pure di colpe –alcuni di loro- ne hanno e tante).
Per Carrito si sono tentati i trasporti forzati in aree lontane da quelle frequentate, gli si sono sparati decine di pericolosissimi proiettili di gomma, lo si è rinchiuso in un’area a scopo riabilitativo, grida, urla, persino il lancio di una pala. Tutto perfettamente inutile, al che viene da chiedersi se si sia mai presa in considerazione l’etologia stessa dell’orso, partendo da un vecchio proverbio: tra un pasto e l’altro l’orso passa il tempo a pensare cosa mangiare.
Il cibo, la ricerca costante ed ossessiva direi del cibo è la molla che spinge questo plantigrado a muoversi, facendogli compiere apparentemente senza fatica decine di chilometri al giorno pur di placare i morsi della fame.
Insomma, non possiamo impedire ad un orso di fare ciò che è: anziché concentrarci sui suoi comportamenti, dovremmo prestare attenzione ai nostri, modificandoli se necessario.
E qui veniamo al capitolo responsabilità. Voglio essere chiaro sul punto: nessuno si chiami fuori, me compreso. Di quello che è accaduto, replica di altri simili accadimenti del passato anche recente (sullo stesso tratto di strada nel 2019 venne investita ed uccisa una femmina con cucciolo al seguito), siamo tutti colpevoli: ognuno di noi può fare qualcosa in più di quanto abbia fatto (su chi non ha mai mosso un dito mi limito a stendere un pietoso velo).
Il tema di fondo è che se non troviamo il modo di coesistere con tutte le specie presenti sul Pianeta Terra, se non smettiamo di sentirci padroni di ciò che non ci appartiene, se non facciamo della parola rispetto il nostro Vangelo, il nostro vademecum quotidiano, non ci sarà salvezza per noi stessi, che siamo parte del tutto: quando questo tutto sarà gravemente compromesso (e siamo sulla buona strada), non ci sarà futuro per l’homo sapiens.
Per stare al tema dei rischi stradali, vorrei ricordare che le nostre carreggiate sono quotidianamente lastricate da animali di ogni tipo, domestici e non: cani, gatti, volpi, caprioli, cinghiali, lupi, tassi e chi più ne ha più ne metta.
Attribuiamo la colpa degli investimenti agli animali che ci attraversano, mentre è dimostrato, dati alla mano, che il 99,99% degli impatti sarebbe evitabile con condotte di guida conformi al codice della strada: se adotti velocità moderate non ti uccidi e non uccidi animali o altri uomini, il più delle volte sei in grado di evitare l’impatto.
Voglio citare, per tutti, il caso che mi venne sottoposto quale giudice civile: un signore fece causa alla Regione Abruzzo e ad un Parco che non cito, perché, alla guida della proprio moto di grossa cilindrata venne investito (sic!) da un cervo, riportando gravi danni materiali e biologici. Ebbene l’istruttoria accertò che egli in una stretta strada di montagna viaggiava a 150 km/h, investendo un cervo maschio di circa due quintali e sbalzandolo al di là del guardrail per decine di metri (l’animale venne ritrovato dai forestali solo dopo lunghe ricerche). Credo non occorra aggiungere altro.
Ma se le nostre condotte individuali e sociali devono uniformarsi a maggiori criteri di ragionevolezza e prudenza, ciò non assolve tutte quelle Istituzioni che sono (o sarebbero) preposte alla tutela della nostra fauna selvatica e in special modo del rarissimo orso marsicano.
Sarebbe ingiusto non riconoscere che i nostri Parchi e qualche Associazione si siano molto spesi in questi ultimi anni in progetti di sicurezza stradale, ad esempio con il progetto del life safe crossing, che, tramite l’utilizzo di dissuasori e segnali luminosi, allertano noi ed i selvatici del possibile pericolo di attraversamento.
Ma questo non basta, perché altre Istituzioni sono rimaste del tutto assenti o inerti: mentre Carrito moriva la Regione Abruzzo (che oggi sparge lacrime di coccodrillo) regalava 44 mila euro ad una società privata perché facesse sapere quanti cervi e caprioli potessero essere nel mirino delle doppiette sin dal prossimo anno (poi toccherà ai lupi, vedrete). Cosa ha fatto e cosa fa la Regione Abruzzo a tutela del nostro orso?
E chiedo ai signor Prefetto de L’Aquila ed al Compartimento della Polizia stradale perché sia possibile scorrazzare ad alta velocità sulle strade del Parco senza che vi sia un solo controllo o un autovelox.
E del Sindaco della ricchissima ed opulenta Roccaraso vogliamo parlarne? Vogliamo ricordargli che in questi mesi non ha trovato il modo di mettere in sicurezza i rifiuti alimentari con cassonetti a prova di orso, attirando così in pianta stabile Carrito in quella zona d’Abruzzo? La vita di un orso vale meno di poche migliaia di euro per proteggere i rifiuti?
La tutela e la conservazione della nostra preziosa biodiversità passano necessariamente attraverso un’azione sinergica tra tutti gli Enti preposti ed un’assunzione comune e non più eludibile di responsabilità.
Voglio però anche essere chiaro: non possiamo illuderci di aspirare al completo debellamento delle morti per incidenti della fauna, perché questo è un obiettivo irraggiungibile (almeno sino a quando il sapiens continuerà ad infestare il Pianeta). Ciò a cui possiamo ragionevolmente tendere è la mitigazione del fenomeno, così come avviene negli ambiti più propriamente umani (ad esempio nella sicurezza sui luoghi di lavoro).
Confesso la mia ispirazione gramsciana: ottimismo della volontà e pessimismo della ragione. Questa può essere una chiave di lettura del nostro futuro.
Carrito ha perso la vita ma noi, con la sua morte, abbiamo perso un pezzo importante di questo futuro.
Dario Rapino