IL MORRONE, LA GROTTA DEI COBOLDI E I DISCENDENTI DEI DRAGHI

I ruderi del castello di Orsa

 

C’era una volta un castello e nei pressi del castello c’era una grotta, chiamata “la grotta dei Coboldi”. Un giorno il castello venne improvvisamente abbandonato e sulle sue rovine cadde il velo del silenzio e del mistero. 

E’ questa la sintesi della storia del castello dell’Orsa, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, ( Il castello che non c’è più: Il castello di Orsa di Pratola Peligna) in cui illustrammo le misteriose vicende che avevano interessato la zona a  partire dall’incendio che appiccò la famiglia Merlino nel 1329 durante la faida con la famiglia Quatrario, proprietaria del feudo, fino ad arrivare all’invasione di formiche distruttive che avrebbero costretto gli abitanti a fuggire dal borgo e dal castello avvertiti in tempo dalle fondamenta delle case che cominciavano a sgretolarsi.
Questa volta ci spostiamo di poco rispetto al castello e ci fermiamo in una grotta che merita di essere osservata  con altri occhi: “la grotta dei Coboldi”

A volte, una semplice grotta può portarci ad esplorare mondi straordinari…

Torniamo quindi indietro di qualche mese con il nostro racconto e facciamo finta di riavvolgere la pellicola di un film, ripartendo dal momento in cui ci stiamo attrezzando per prendere il sentiero che conduce al castello dell’Orsa. Nella zona dove abbiamo parcheggiato le auto, c’è un maneggio, ci fermiamo così a scambiare quattro chiacchiere con il proprietario, il quale ci avvisa che ad un certo punto del sentiero troveremo un’ampia grotta, dove un tempo si riparavano i pastori.

 

La bellezza di una camminata esplorativa nella storia, non è data dalla semplice osservazione delle cose o dall’entusiasmo che si prova di fronte all’incanto di certi paesaggi, ma da ciò che “si sente”, quel sentire che viene da dentro e che diventa tutt’uno con gli elementi stessi. Semplici flash, sono attimi, secondi, ma sono quei momenti in cui arrivano le informazioni di cui abbiamo bisogno.
Ed è proprio davanti alla grotta che quel “flash” mi mostrò una “nuova storia” e strani intrecci iniziavano a formarsi nella mia mente.

E davanti al nome della grotta, la mia mente iniziò così a “collegare” diverse informazioni…

La grotta in questione ha uno strano nome “Grotta dei Coboldi”, un nome che basta pronunciarlo per aprire alla mente le porte del mondo della magia.

Già tutte le miniere sono magiche, da sempre. Le viscere della terra brulicano di gnomi, coboldi (cobalto!), niccoli (nichel!), che possono essere generosi e farti trovare il tesoro sotto la punta del piccone, o ingannarti, abbagliarti, facendo rilucere come l’oro la modesta pirite, o travestendo lo zinco con i panni dello stagno: e infatti, sono molti i minerali i cui nomi contengono radici che significano «inganno, frode, abbagliamento».

Primo Levi

In questo passaggio dell’opera di Primo Levi “Il sistema periodico (1975”), l’autore utilizza la sua esperienza di chimico, per creare un “legame” con la letteratura stessa attraverso racconti autobiografici visti con la lente della chimica. L’opera nel 2006 venne scelta dalla Royal Institution del Regno Unito come il miglior libro di scienza mai scritto. Un libro che permette al lettore di aprirsi a mondi antichi, appartenenti alla memoria collettiva insita  nell’essere umano. Ed è proprio in questo passaggio dell’opera di Levi, che possiamo iniziare ad intuire cosa si nasconde dietro “la grotta dei Cobolti”.

Primo Levi
Primo Levi, (1919-1917) il famoso scrittore e chimico italiano autore della raccolta di racconti “Il sistema periodico”

I coboldi, secondo il folclore tedesco, sono dei folletti poco socievoli e dalla natura piuttosto aggressiva e malvagia, nati da un atto di vera e propria di crudeltà.
Secondo lo scrittore Neil Gaiman, nel suo romanzo “American Gods” fa risalire il mito del coboldo ad una presunta tradizione tribale germanica, di natura propiziatoria. Secondo la leggenda, dei bimbi appena nati, venivano portati in un nascondiglio sotterraneo e tenuti nascosti nelle profondità per cinque anni. Giunti al quinto compleanno, i bimbi, venivano portati in superficie e trafitti con due lame (una di bronzo e una d’acciaio). I corpi venivano poi bruciati, e dai resti si ricavava un feticcio da quale nascerà il coboldo, la cui malvagità è strettamente collegata quindi al risentimento per le violenze e crudeltà subite.

Un Coboldo, particolare  tratto da “Incubo” (1781), di Johann Heinrich Füssli

Il termine deriva dalla parola tedesca Kobalt o Kobolt il cui significato è appunto “spirito malvagio”. La loro natura li porta infatti ad essere aggressivi e codardi, (aggressività e codardia sono mosse dalla stessa emozione “la paura”). Secondo alcune leggende, i coboldi discenderebbero dai draghi, spesso  il loro aspetto li mostra con le sembianze simili a dei rettili, sono dei bassi umanoidi e presentano il muso e le mani  che molto ricordano i ratti. Caratteristico è il portamento leggermente piegato in avanti, e corre se necessario a quattro gambe. Le loro deformità, sarebbero alla base del risentimento che nutrono per dèi e mortali, e li spingerebbe a compiere malefatte di ogni sorta contro di loro, nonché a coltivare un’indole arrogante e poco socievole.

Immaginiamo un coboldo nella grotta...

Egli, pur non essendo una divinità è comunque immortale, può essere dotato di proprietà soprannaturali e poteri magici (volare, trasformarsi in animali, ecc.), che utilizza soprattutto per realizzare scherzi ai danni dei mortali.Il termine  “Coboldo”, sta però ad indicare anche altre creature derivanti da altre tradizioni folkloristiche, come ad esempio gli elfi, i goblin e i leprachaun. Non tutti i coboldi hanno una connotazione malvagia, quelli domestici ad esempio, si occupano delle faccende di casa, hanno un carattere mansueto e sono meni inclini agli scherzi. Nonostante le diverse versioni del mito, la costante è quella di mostrare la laboriosità di questi “particolari esseri” sia in veste di domestici che di fabbri intenti a forgiare armi ed utensili.

      L’immagine di un Goblin

In alcune versioni del mito, invece, il coboldo non vive in ambienti domestici ma nella miniere dove, al pari dei nani, è dedito all’estrazione e lavorazione di metalli e pietre preziose. Sempre dotato di un carattere alquanto dispettoso e incline a scherzi di ogni genere, qui si diverte a causare frane, crolli o a disturbare in qualche maniera il lavoro dei minatori mortali, e scambiare durante la notte l’argento estratto dai minatori con il semplice cobalto, un metallo noto per essere velenoso e per inquinare altri elementi, che prende,per l’appunto, nome da questo mito.

  Pietre di Cobalto

Dal suo nome (Kobalt) è infatti derivato quello del “cobalto“, metallo dal colore blu scuro che, seppure dotato di straordinaria bellezza, può causare gravissime intossicazioni se ingerito anche in piccole quantità. Il metallo, però, può essere stato chiamato così non tanto per la sua pericolosità, ma per via della leggenda secondo cui il coboldo volerebbe in cielo lasciando una lunga scia blu scuro al suo passaggio.

L’immagine del lepachaun ricorda molto i nostri gnomi e in ambito locale “il mazzamarillo”…

 

A questo punto della storia, il mito (il cobolto), la leggenda (invasione delle formiche), la grotta (dei Cobolti), iniziano ad intrecciarsi e a creare una nuova storia, che potrebbe condurci a percorrere la strada del genere fantasy. Una strada dove strani esseri deformi e immortali, vivono nelle profondità della terra. Una strada dove la grotta dei Cobolti è in realtà l’ingresso di una miniera. Un giorno, però, questi strani folletti, decidono di far pagare agli umani il loro dolore, e lo faranno causando la distruzione dell’intero borgo.
O forse, questa storia potrebbe portarci a rivedere dal punto di vista “materiale” cos’è accaduto davvero in queste zone, a scoprire il perchè tutto il borgo fu abbandonato e magari la chimica potrebbe darci delle risposte.

       L’ingresso della grotta dei Coboldi

Sono molte le domande che non hanno una risposta, come ad esempio “perché hanno dato il nome di un mito tedesco ad una grotta apparentemente lontana dalle leggende del nord Europa?
Qualunque sia la strada che si voglia percorrere, “la grotta dei Cobolti” è un pezzo della nostra storia, un antro il cui nome è l’emblema delle paure umane. Quelle stesse paure, che, proprio come nel caso dei Coboldi, li hanno resi schiavi al servizio della loro stessa sofferenza; quelle stesse paure che se rese alleate potrebbero invece condurre l’uomo alla scoperta di quel grande “tesoro” a cui egli da sempre anela “conoscere se stesso”.

 

Rossella Tirimacco