RISCOPRIRE LA FIGLIA DI IORIO: UN VIAGGIO TRA LETTERATURA E PITTURA

Gabriele d’Annunzio

Mentre ci avviciniamo alla fine dell’estate del 2024, ci troviamo a riflettere su un’altra estate di ben oltre un secolo fa, quella del 1903, quando Gabriele d’Annunzio completava febbrilmente “La figlia di Iorio”, una tragedia pastorale che sarebbe divenuta uno dei pilastri della letteratura italiana. Sebbene l’opera sia profondamente radicata nel contesto culturale e sociale del suo tempo, le sue tematiche, come l’amore, il sacrificio e il conflitto tra l’individuo e la comunità, continuano a risuonare con forza anche oggi. In questa rilettura, desidero riscoprire l’origine di quest’opera affascinante e le profonde connessioni tra l’arte di d’Annunzio e quella del suo caro amico, il pittore Francesco Paolo Michetti. Attraverso il legame indissolubile tra pittura e letteratura, esploreremo come una visione artistica possa influenzare e dare vita a un’opera drammatica di così grande potenza, rimarcando l’importanza di riscoprire e valorizzare queste radici culturali in un mondo in continua evoluzione.

È il 31 agosto 1903 quando Gabriele d’Annunzio scrive al suo amico Francesco Paolo Michetti di aver concluso in meno di due mesi la tragedia pastorale “La figlia di Iorio”.
Circa venti anni prima Michetti aveva realizzato il dipinto “La figlia di Iorio” che venne poi esposto in occasione dell’Esposizione Internazionale di Belle Arti di Milano del 1881. D’Annunzio nella lettera al suo amico fraterno, fa appunto riferimento al dipinto “Quest’opera viveva dentro di me da anni, oscura. Non ti ricordi? La tua “Figlia di Iorio” fece la prima apparizione or è più di vent’anni, col capo sotto un dramma di nubi“. Michetti intendeva dar vita a un ciclo pittorico dedicato a quella giovane donna – la figlia di Iorio – che pecca per amore e si perde a causa dei suoi eccessi. Le parole di D’Annunzio lasciano intendere che la sua tragedia sia intimamente legata – se non addirittura ispirata – all’opera michettiana, salvo poi negare questa influenza in un’intervista rilasciata a Filippo Surico nel 1921; in questa sede l’autore rivela il vero nucleo generativo della sua Figlia di Iorio, che affonda le radici in un’esperienza reale vissuta anni prima in compagnia di Francesco Paolo, durante una delle escursioni che i due amici erano soliti compiere alla scoperta delle zone più interne e selvagge dell’Abruzzo. D’Annunzio rievoca così l’episodio che aveva molto turbato entrambi: “Io ero col mio divino fratello Ciccio in un paesetto d’Abruzzo, chiamato Tocco Casauria, dove, appunto, era nato l’amico […]. Ebbene, tutti e due, d’improvviso, vedemmo irrompere nella piazzetta una donna urlante, scarmigliata, giovane e formosa, inseguita da una torma di mietitori imbestiati dal sole, dal vino e dalla lussuria. La scena ci impressionò vivamente: Michetti fermò l’attimo nella sua tela […] ed io rielaborai nel mio spirito, per anni, quanto avevo veduto su quella piazzetta: e infine scrissi la tragedia”. La prima de La figlia di Iorio fu messa in scena il 2 marzo 1904 al Teatro Lirico di Milano, con la partecipazione di Irma Gramatica nel ruolo della protagonista Mila di Codra.

Francesco Paolo Michetti

La figlia di Iorio è definita tragedia pastorale in quanto il protagonista, Aligi, è un guardiano di pecore. L’opera si compone di tre atti; il primo e il terzo si svolgono nel mondo rurale, in una dimensione atemporale e mitica, indicata da D’Annunzio con la didascalia che recita “Nella terra d’Abruzzi, or è molt’anni”. Il secondo atto, centrale anche per lo svolgimento dell’evento tragico, è ambientato sui monti della Maiella, dove Aligi conduce il gregge nei mesi estivi.

Irma Gramatica

Il tema affrontato ha tutte le peculiarità tipiche del verismo: la giovane che, corrotta, si perde ed acquista in tal modo un fascino drammatico e nefasto. In Mila è un personaggio che esprime grande femminilità, femminilità che si rivela distruttiva provocando la cosiddetta ”ossessione carnale”, uno dei temi che D’Annunzio affronta spesso. Mila, donna dalla pessima reputazione, sospettata anche di stregoneria, rivela in realtà di avere un animo nobile e puro ed incarna anche il personaggio dell’eroina che per amore volontariamente sceglie il sacrificio.

F. Paolo Michetti- La figlia di Iorio

                                                       

                                                        La trama

Nel giorno di San Giovanni, la famiglia di Lazaro di Roio sta preparando le nozze del figlio Aligi, pastore. Durante i superstiziosi e rituali preparativi, irrompe Mila, la figlia di Jorio, che cerca rifugio per scampare alle molestie da parte di un gruppo di ubriachi. Mila, sospettata dalla comunità di stregoneria, viene respinta dalla famiglia di Aligi. Aligi, però, la difende e con lei fugge in montagna ed insieme si rifugiano in una grotta. Aligi, per difendere Mila dai tentativi di seduzione
da parte di suo padre Lazaro, finisce per ucciderlo e per essere condannato a morte dalla comunità per parricidio. Mila, per salvare Aligi, si prende tutte le responsabilità e viene condannata al rogo per stregoneria.
D’Annunzio chiese al pittore Paolo Michetti di occuparsi della scenografia della tragedia. Michetti, talentuoso pittore e scenografo di Tocco Casauria, si ispirò a scene di vita vissuta nel milieu abruzzese del tempo per rappresentare i personaggi e gli ambienti della Figlia di Jorio. L’immagine di Mila è ispirata appunto a  quella della donna che, in un’estate a Tocco Casauria di qualche anno prima, era apparsa all’improvviso in mezzo alla piazza, sconvolta, inseguita da un gruppo di contadini ubriachi; La Majella è quella osservata, maestosa, durante il suo soggiorno ad Orsogna; l’immagine della caverna dove i due innamorati si rifugiarono è ispirata a quella della Grotta del Cavallone: il Michetti, curioso e appassionato, la visitò più volte. Le scene della tragedia all’interno della caverna sono tutte ambientate nel grande antro d’ingresso della Grotta del Cavallone, poi rinominato per questa ragione Sala di Aligi.

D’Annunzio non visitò mai le Grotte del Cavallone ma grazie al lavoro del Michetti ed al successo della tragedia, queste rappresentano uno dei luoghi dannunziani per eccellenza. Molti poeti, soprattutto abruzzesi, si ispirarono alla magia della grotta per comporre versi. Ne citiamo uno su tutti: Cesare De Titta, di Sant’Eusanio del Sangro.

Rileggere oggi “La figlia di Iorio” non significa soltanto immergersi in un capolavoro del passato, ma anche riscoprire la forza evocativa che l’arte e la letteratura possono sprigionare quando si intrecciano. Le immagini vibranti di Francesco Paolo Michetti e le parole di Gabriele d’Annunzio si uniscono in un dialogo che attraversa il tempo, portandoci indietro a quell’estate del 1903, ma rimanendo al contempo straordinariamente attuali. In un’epoca in cui la connessione con le nostre radici culturali è più che mai necessaria, “La figlia di Iorio” ci invita a riflettere su come l’arte possa non solo raccontare storie, ma anche plasmare la nostra comprensione del mondo e di noi stessi. E così, come le Grotte del Cavallone si sono trasformate in un luogo simbolo del dramma dannunziano, questo capolavoro ci ricorda l’importanza di custodire e tramandare il nostro patrimonio culturale, affinché continui a ispirare le generazioni future.

Giada Balassone

Citazioni e fonti

Tiziana77 “La figlia di Iorio, strega o martire?”

La figlia di Iorio-G. D’Annunzio

atuttarte.it “La figlia di Iorio”

Sei appassionato di letteratura italiana e vuoi immergerti in un’opera che ha segnato la nostra cultura? Non puoi perderti “La figlia di Iorio” di Gabriele d’Annunzio, una tragedia pastorale che intreccia amore, mistero e sacrificio, ispirata dalla profonda amicizia tra l’autore e il pittore Francesco Paolo Michetti.

Questo libro ti porterà indietro nel tempo, tra le montagne abruzzesi e i drammi di un’epoca lontana, ma ancora incredibilmente attuale. Un viaggio nell’anima umana che continua a affascinare lettori di ogni generazione.

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