LA DONNA E LA MAGIA NELLA VISIONE POPOLARE: LA STREGA, LA FATTUCCHIERA, LA SQUARTERE

La scopa è da sempre collegata alla figura della strega, non è insolito infatti, che “il magico attrezzo” sia diventato nel tempo un mezzo di culto, esempio ne è la “scopetta scacciaguai” presente nelle case di molte famiglie o regalata come souvenir. E che dire delle famose “fattucchiere”, presenti in quasi tutti i paesini della regione, dedite all’arte di togliere il malocchio? E quegli strani sacchetti, chiamati “brevi” che certe donne preparavano con i loro rituali di magia bianca, cosa contenevano? In Abruzzo la figura della donna è da sempre collegata alla magia, poiché “la donna più dell’uomo, presiede ai misteri della vita della morte. Quando nasce un bimbo dimentica ben presto le doglie del parto e gioisce immensamente. Un figlio è l’aspirazione primaria di una donna. Lo difende da tutte le forze avverse, tenebrose e invisibili.” Nascono così storie e leggende di “donne particolari”, donne che da sempre avevano mantenuto il contatto con il mondo spirituale…

Una sera d’inverno…

Nelle lunghe e fredde serate d’inverno si parlava di “streghe”, di “fattucchiere” e di “squartere” (le male lingue) accanto al focolare mentre si sferruzzava per le provvigioni di calze e maglie contro il freddo. Dal camino scendeva la catena consistente in una serie di anelli concatenati e saldati, terminante con una piastrina ad uncino per appendere la “cuttrella” (il paiolo).

 

                                                                         La Strega

La strega s’identificava sempre in qualche vecchia del paese: precisamente in quella che entrava in Chiesa (nella Messa di mezzanotte a Natale) dopo il canto gioioso del “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. La strega non poteva sentire, senza atroci tormenti, l’annunzio della nascita di Gesù Cristo che scacciò demoni e spiriti immondi.

Vittime innocenti della strega i bambini lattanti trovati spesso mordicchiati, arrossati per i pizzichi, strapazzati nella culla o gettati a terra o sotto il letto. E qui l’episodica sarebbe abbondante varia circostanziata “veramente accaduta”. Il bimbo moriva inesorabilmente, si racconta, se la strega maledetta assottigliava tanto la testolina del bimbo da farla entrare in un anello della catena del camino.

Una delle vecchie del paese solitamente veniva classificata come una strega.

Quella catena però (sempre secondo la convinzione popolare) poteva incatenare anche la vecchia qualora si fosse presentata in visita di cortesia. Se la padrona di casa riusciva a prendere l’estremo lembo della catena ad uncino, rivoltarlo vero l’alto ed agganciarlo in uno degli anelli, la strega restava prigioniera. Era questo lo stratagemma per verificare direttamente se quella “tizia” era veramente strega. Infatti questa, col passar delle ore, diventava nervosa, impaziente e, alla fine era costretta a chiedere alla padrona di sganciare la catena e farla pendere con l’estrema punta verso il fuoco. Solo allora poteva alzarsi, salutare ed andare a casa.

La scopa dietro la porta di casa serviva a “sbarrare” il passaggio alla strega,

La strega operava di notte. La luce era la sua nemica. Perciò ad evitare l’ingresso notturno in casa, si metteva dietro l’uscio una scopa o una “scerta” (treccia) di pannocchie rosse di cui la strega doveva contare senza sbagli tutti i chicchi o i fili della scopa. Lo sbaglio era quasi sicuro: la luce dell’alba la metteva in fuga.

Per poter entrare in casa, la strega avrebbe dovuto contare tutti i chicchi

Abbiamo visto un “rencorn” (un pezzo di corno biforcato di cervo) che una famiglia si trasmette da oltre un secolo e mezzo e che ancora oggi viene usato come talismano o antidoto antistrega. Si mette nella culla del bambino: la strega si rende impotente perché dovrebbe contare tutti i piccolissimi, quasi impercettibili, nodi del “rencorn”. Questo “rencorn” ci riporta per associazione di idee, alla leggenda di Cocullo nei riguardi di San Domenico. Mosso a compassione dai cocullesi terrorizzati da un ferocissimo lupo e molestati da un’invasione di serpi velenose, il Santo placò prima il lupo e poi, col suono d’un flauto ricavato da un osso di cervo, fece uscire dai covi le serpi e, incantandole, le rese innocue. Come Benevento, anche Villalago ha la sua “noce di Mario” dove si riuniscono in conciliabolo le streghe del circondario.

 

Una fattucchiera “all’opera”

                                                               La Fattucchiera

Se l’immagine della strega tenta a scomparire ci si appiglia ai rimedi antistrega solo a titolo cautelativo, resta intatta la figura della “fattucchiera” che esercita la sua missione particolarmente nella sfera erotica prima e dopo il matrimonio.

Per piccoli mali fisici, la fattucchiera agisce togliendo il malocchio.

“Il fascino, malucchie, è causa di febbre, dolor di capo, convulsioni specialmente nei bambini. E’ qualcosa di malefico che per mezzo dello sguardo passa e si attacca come malattia infettiva. Per questo è sinonimo di jettatura “Malattije che ss’ajjette = malattia che si attacca, contagiosa, infettiva”. Inoltre ha il potere sugli animali, sulle operazioni domestiche e simili. Così se un bue all’improvviso cessa di arare e si dimena per dolori di ventre; se il pane o il sapone non riescono bene; se l’acqua d’una fonte diminuisce o manca, c’è sempre qualcuno che tutto ciò attribuisce al mal d’occhio”

Il rito dell’olio

Per accertarsene, il modo più diffuso è il ricorso al piatto con alcune gocce d’olio e lanterna o candela. Se le gocce appena versate nel piatto rimangono tondeggianti, è indice dell’esistenza del malocchio. Alle parole magiche della Fattucchiera che accompagnano segni ripetuti sulla fronte, il malocchio scompare: il paziente si sente immediatamente libero da dolore di testa o di stomaco accompagnato talora da vomito improvviso di capelli o ciocche di capelli.

Quando poi si tratta di agire nella sfera psichica, sentimentale, erotica, la “fattura” si toglie con filtri, polverine e pozioni “brevi” da portare addosso chiamate “grevi” dai Villalaghesi.

Degli antichi brevi. All’interno del sacchetto è contenuta un’immagine sacra, delle formule e polverine che la fattucchiera preparava per il “cliente”. Si ritiene fossero una sorta di protezione contro il malocchio

Il Tanturri riferisce che le “donnicciole” scannesi ritengono “espertissimi nelle fatture, quelli di Villalago” e si rifiuta di inserire nella monografia “cose ripugnanti col secolo XIX raccomandando più zelo ai ministri della Religione”. Aveva ragione. Si smetta una buona volta con queste imposture degradanti. Si chiuda per sempre “il libro del comando” della maga Angiolina.

 

Invidia e malelingue vanno a braccetto, infatti l’invidia, nell’affresco dipinto da Giotto  è appunto rappresentata con un serpente in bocca.

                                                         La Mala Lingua o Squartera

In due modi i Villalaghesi riescono ad inviduare la “mala lingua” che in gergo dialettale si chiama “squartera”: nel sogno e nel fuoco. Sognando le serpi si era sicuri che una “mala lingua” seminava discordia viperina…la mattina, appena desti, si metteva un pugno di paglia nel saccone o pagliericcio del letto e, pestandolo, si diceva: “Ti si pesti la testa”. Poi si attendeva…la donna che entrava per prima in casa era lei la “squartera”. Stando vicino al focolare, si notavano, in pezzi di legna verde, linguette di fuoco, secondo la bella terzina di Dante:

“Come d’un stizzo verde che arso sia

da un dei lati e dall’altro

cigola per vento che va via”

(Inf. XIII, 40)

Quel cigolare della “monachella” (piccolo lapillo che s’alza dal fuoco) era, per i Villalaghesi, la “mala lingua” da identificare nella persona che per prima entrava in casa.

 

 

testi tratti da: “Villalago, storia – leggende – usi – costumi” di P.Antonio M.D’Antonio – Ed. Italica – Pescara 1976

 

Pubblicato da Redazione

 

 

Fonte: Detti proverbi e soprannomi a Villalago