QUANDO UN SOGNO DI ACCOGLIENZA DIVENTA UN RACCONTO AMARO: L’OASI DI SANTINA CAMPANA AD ALFEDENA

«I beni di questa terra passano in fretta. I beni del cielo invece sono eterni. Ringraziamo il Signore che ci ha conservati in vita»

Santina Campana

Il nome di Santina Campana a molti non dirà nulla ad altri invece quasi all’istante evocherà l’immagine di una giovane donna sorridente che indossa una maglia color turchese e che tiene entrambe le mani a mo’ di cuscino sulla guancia. L’immagine è quella di un santino, e lei è Santina Campana, una giovane donna di Alfedena, nata nel 1929, che dedicò la sua vita verso il prossimo accettando le sofferenze della malattia che la colpì, con una straordinaria forza spirituale. Vissuta tra atroci sofferenze e momenti di profonda spiritualità, Santina Campana morì a soli 21 anni, qualche anno dopo la Chiesa avviò il processo di canonizzazione e le venne dato il titolo di “Serva di Dio”.

La premessa era d’obbligo per la storia che desidero raccontare, una storia in cui la vita di Santina Campana si intreccia con la realizzazione di una struttura ricettiva nel suo paese natio fino ad arrivare ai giorni nostri. Un sogno infranto attraverso giochi di potere e becere speculazioni.

Ma partiamo dal luogo dove ha inizio la nostra storia: Alfedena. Ci troviamo in Abruzzo, in un piccolo borgo abruzzese nella provincia dell’Aquila, un luogo che incanta con il suo fascino discreto e senza tempo. Situato a circa 900 metri di altitudine è parte del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Quest’angolo della regione è intriso di storia, leggende e tradizioni che sembrano sussurrate dal vento quando passa tra gli alberi, e urlate dalle pietre di antichi edifici. Tra le tante storie che il borgo custodisce con orgoglio, vi è una struttura che non è né antica, né di particolare interesse storico: è l’Oasi di Santina Campana.

L’Oasi di Santina Campana poco prima dei lavori

Quando vidi lo stabile per la prima volta, rimasi colpita dalle sue splendide vetrate che riportavano dei dipinti in tema religioso. La struttura di per sé, seppur grande è abbastanza semplice e senza pretese, del resto in origine era stata pensata per accogliere un gran numero di pellegrini, parliamo quindi di un edificio funzionale e privo di ornamenti superflui. L’Oasi di Santina Campana, nasce dal sogno del fratello di Santina, Don Bruno Campana, fu lui a immaginare e realizzare uno stabile destinato a diventare una sorta di “casa del pellegrino”, un luogo di accoglienza per il turismo religioso. Edificata in parte con i proventi di svariate donazioni, questa struttura rappresentava non solo un punto di riferimento per i fedeli, ma anche un simbolo della spiritualità e dell’ospitalità che animavano il cuore di questa famiglia.

Le vetrate della struttura

Quando “l’Oasi” fu completata, grazie anche a diversi prestiti, si respirava un’atmosfera di grazia. La mensa, ampia e accogliente, era il fulcro di una comunità in fermento, un luogo in cui il turismo religioso prosperava e in cui migliaia di fedeli trovavano rifugio e conforto. Era un periodo in cui la devozione si traduceva in azioni concrete, capaci di unire le persone in un senso di appartenenza condiviso. All’epoca erano diversi i pullman di fedeli, provenienti da tutta Italia, che facevano le classiche gite ad onorare Santina, avviata al processo di beatificazione.

Ma quel sogno, così luminoso, fu spezzato da vicende che ne decretarono il declino. Alla morte di Don Bruno, lo stabile dopo un po’ fu abbandonato, finendo all’asta a causa dei debiti contratti per terminare la struttura. Da lì iniziò un percorso travagliato attraverso diverse gestioni, fino ad essere acquistato in tempi recenti da due imprenditori, uno di Sulmona e uno di Pratola Peligna. Da quel momento, ha inizio un nuovo periodo di promesse e illusioni. Inizialmente i due proprietari dichiararono di voler trasformare il luogo in un centro per tossicodipendenti, ma le loro intenzioni non si tradussero mai in realtà concreta. Vennero avviati alcuni lavori, ma nulla di significativo prese forma.

La piccola cappella all’interno della struttura

Nel frattempo, quanto di più prezioso era custodito nello stabile – documenti, libri, memorie – venne distrutto o disperso. Il degrado non era solo materiale, ma anche spirituale. In un gesto di amore e rispetto per quella storia, alcuni libri scritti a macchina da Don Bruno furono salvati dalle fiamme, un atto che testimonia la resistenza della memoria di fronte all’oblio.

Non bastò. I due proprietari, dopo aver litigato per questioni economiche, lasciarono per un breve periodo la struttura in stato di abbandono. Dopo qualche mese una riconciliazione temporanea tra i due “imprenditori”, diede il via ad un nuovo progetto: un centro di accoglienza per profughi ucraini. A parer mio, credo che questi “idee geniali” nascano dall’aspirazione di poter ricevere sovvenzioni e finanziamenti pubblici, si vede però che qualcosa dev’essere andato storto! Infatti anche questo progetto svanì nel nulla, lasciando dietro di sé l’ edificio vuoto e una comunità priva di quel luogo che un tempo era stato simbolo di speranza.

La sala mensa-ristorante

Vorrei fare un piccolo appunto sui luoghi e sugli edifici. Una casa, un edificio, una chiesa o qualunque altra costruzione non sono mai, e non saranno mai, semplici ‘tetti sulla testa’. La nostra stessa casa è un ‘essere vivente’ che, seppur immobile, respira e si nutre energeticamente, proprio come noi. Non entrerò qui nei dettagli di questa affermazione, ma chi vorrà potrà approfondire l’argomento sul mio sito web, dove ne parlo in maniera più esaustiva. Ciò che voglio sottolineare è che, se una struttura come l’Oasi di Santina Campana è nata da un sogno specifico, da una visione d’amore e accoglienza, non potrà mai essere usata né trasformata per altri scopi, soprattutto se questi scopi nascono dalla peggiore speculazione.

Alcuni lavori eseguiti sull’esterno

Oggi, lo stabile giace in un silenzio desolante, e parte della storia che conosco finisce qui. Non si sa chi né siano i proprietari né quale sia il suo futuro. Resta solo il ricordo di ciò che fu e di ciò che avrebbe potuto essere.

A pochi passi da lì, nel cuore del centro storico di Alfedena, si trova invece la casa di Santina Campana. Anche questa, in tempi recenti, ha rischiato di essere venduta. Visitandola, è impossibile non percepire un’energia profonda che sembra emanare dalle sue mura, come se la casa stessa custodisse e proteggesse lo spirito di Santina. Un luogo così carico di storia e di significato non può che suscitare riflessioni: chi mai potrebbe ricomprare quella casa? E quale futuro sarebbe degno di un luogo tanto speciale?

La casa di Santina Campana

Quando entrai per la prima volta in quella casa, ne rimasi così colpita che promisi a me stessa di raccontarne la storia. Ciò che oggi appare come una cronaca di eventi, è in realtà un ‘racconto amaro’, un monito. Cercando sul web, si trovano poche informazioni sulla storia dell’Oasi o sulle sorti della casa natia di Santina Campana. Forse è anche per questo che sento il dovere di lasciare una testimonianza: non solo per preservare il ‘luogo fisico’, ma soprattutto i valori e le memorie che esso rappresenta. Fare luce, far rumore: spesso è l’unico modo per salvare ciò che conta e ridare vita alla memoria. In un’epoca in cui troppo spesso la storia viene sacrificata all’utile, dobbiamo chiederci cosa possiamo fare per onorare il passato e costruire un futuro che non rinneghi le sue radici.

Il letto di Santina

La figura di Santina Campana, così come la storia dell’Oasi e della sua casa, non devono essere dimenticate. Anche se ‘i beni di questa terra passano in fretta’, l’amore, la spiritualità e i valori di accoglienza e dedizione che Santina ci ha lasciato sono eterni. Sta a noi preservare e custodire ciò che resta, affinché non sia solo un ricordo del passato, ma una guida per il futuro. La spiritualità, l’ospitalità e la memoria possono ancora ispirare e rinascere, unendo il passato con il presente.

Rossella Tirimacco

Per saperne di più sulla vita di Santina Campana

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