POLLUTRI E SAN NICOLA: TRA STORIA, FEDE E ANTICHI RITUALI

Nell’articolo precedente, abbiamo intrapreso un viaggio attraverso i secoli per scoprire la figura di San Nicola e il suo straordinario percorso che lo ha reso una presenza iconica nella coscienza collettiva. Dalle reliquie trafugate a Myra all’affermazione della sua fama, abbiamo visto come questo santo abbia attraversato epoche e culture, diventando simbolo di spiritualità e generosità. Questa volta, però, il nostro viaggio si fa più intimo e locale. Ci spostiamo in Abruzzo, a Pollutri, un piccolo borgo in provincia di Chieti, dove la devozione a San Nicola vive attraverso tradizioni secolari. Scopriamo come il vescovo di Myra sia giunto qui e come la sua figura venga celebrata con riti che intrecciano fede, storia e comunità.

Nell’antichità, le storie e le devozioni viaggiavano sulle stesse rotte dei mercanti e dei pellegrini. Così, il culto di San Nicola, nato a Myra e diffuso in Italia grazie alla traslazione delle sue reliquie a Bari nel 1087, trovò terreno fertile anche in Abruzzo.

Pollutri è piccolo borgo teatino affacciato sul fiume Sinello, la figura di San Nicola non è solo una devozione religiosa, ma un autentico fulcro della vita sociale e culturale. Il culto del santo si intreccia con le radici stesse del paese, il cui nome stesso “Pollutri” potrebbe derivare da un antico tempio dedicato a Polluce, un riferimento che lega il borgo a radici ancora più antiche, forse romane. Secondo altre interpretazioni invece il toponimo rimanda all’idea di offerte o doni (polluctus in latino), ma anche a una terra fertile e ricca di allevamenti, come suggerito dal greco polù tréfo.

Una delle leggende più conosciute circa la nascita del borgo racconta di un principe longobardo che decise di fondare un paese nel luogo in cui avrebbe ritrovato un puledro smarrito. Una storia simbolica, che richiama anche lo stemma del borgo, dove spicca appunto un puledro rampante, simbolo di energia e vitalità.

La realtà storica, però, è altrettanto suggestiva. Nel 568 d.C., i Longobardi, guidati dal re Albano, scesero in Italia in cerca di nuove terre e risorse. Conquistata gran parte della penisola, si insediarono anche in Abruzzo, integrandosi con le popolazioni locali. All’epoca, il colle su cui oggi sorge Pollutri era ricoperto di fitti boschi e abitato da pastori e contadini. I Longobardi portarono nuove strutture organizzative e culturali, favorendo la crescita del borgo, che già nel 580 divenne un centro importante, con un territorio che si estendeva fino al mare.

Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva], vol. 3, 1703.
Disegno settecentesco di Pollutri

L’ arrivo di San Nicola

Il momento esatto in cui la figura di San Nicola fa la sua comparsa nel paese rientra nel campo delle ipotesi e delle leggende, secondo alcune fonti, il culto potrebbe essere arrivato qui attraverso i benedettini, instancabili diffusori della spiritualità e delle reliquie dei santi. Altre teorie parlano di marinai e mercanti che, nel loro peregrinare, portarono con sé la devozione a San Nicola, trovando in Pollutri un luogo dove il suo messaggio di generosità e protezione poteva attecchire profondamente. In realtà la figura di San Nicola con molta probabilità è giunta fino a noi attraverso la transumanza, l’antica pratica pastorale che ha segnato la cultura e l’identità dell’Abruzzo. I pastori, nel loro spostarsi tra i pascoli estivi e invernali, portavano con sé le storie e le devozioni. San Nicola, protettore dei viandanti e dei pellegrini, divenne così il santo a cui affidare il proprio viaggio e il bestiame, creando un legame tra spiritualità e vita quotidiana. Questo legame si rafforza nelle comunità pastorali che, come Pollutri, vivevano di agricoltura e allevamento. Parliamo quindi di un culto così antico e radicato nel tempo al punto che gli venne dedicata una chiesa già tra il 1061 e il 1073, precedendo persino la celebre basilica di Bari che venne invece realizzata solo nel 1087. Una parte delle reliquie del santo, trafugate da Myra da mercanti baresi e veneziani, è giunta fin qui: alcune ossa del braccio che tuttora proteggono la comunità e ne alimentano la devozione.

Tradizioni e simboli: le fave e i pani sacri

Le celebrazioni di San Nicola a Pollutri si articolano in due momenti principali: il 9 maggio, in ricordo della traslazione delle reliquie a Bari, e il 6 dicembre, il giorno della sua morte (dies natalis). Entrambi i periodi sono caratterizzati da riti e simboli che coinvolgono tutta la comunità, senza distinzioni di età o ruoli.

La grande festa di dicembre ruota attorno alla cottura delle fave, preparate nei giganteschi caldai sotto il cielo stellato nella notte tra il 5 e il 6 dicembre. Questa tradizione celebra il miracolo della moltiplicazione delle fave con cui, si narra, San Nicola avrebbe salvato il popolo dalla carestia. La spiritualità del santo, noto per i suoi miracoli legati al cibo e alla generosità diventa così uno dei momenti simbolici il cui messaggio è proprio quello della carità, dell’aiuto che si presta incondizionatamente ai più bisognosi e a chi soffre, sull’esempio di San Nicola. . Le fave, simbolo di abbondanza e condivisione, vengono distribuite a tutti i presenti e persino porta a porta, perpetuando un gesto di solidarietà che richiama appunto il messaggio del santo.

I preparativi iniziano con largo anticipo: il comitato del culto, composto da 14 coppie, si occupa della raccolta di legna, grano e olio, nonché della preparazione delle pupatte, galletti e taralli, simboli di fertilità e abbondanza. La lavorazione di questi cibi sacri è un rito collettivo, che unisce manualità e spiritualità.

La notte del 5 dicembre, dopo la benedizione in chiesa, il fuoco prende vita nei paioli, animando la piazza con un’atmosfera quasi mistica, tra vapori e fiamme. I ragazzi si occupano dei fuochi, gareggiando a chi farà bollire per primo l’acqua, mentre la priora, accompagnata dalle donne del comitato, benedice il sale e lo versa nei caldai con il segno della croce.

Fave, taralli e pupatte: un rito ancestrale

La cottura e la distribuzione delle fave durante la festa di San Nicola a Pollutri non è solo un atto di generosità, ma richiama antichi riti legati al ciclo della vita e della morte. Nell’antichità, le fave erano considerate simboli di comunione con gli invisibili, con i defunti, rappresentando al contempo la loro prospera fecondità. Si credeva che queste leguminose contenessero le anime dei morti, pronte a rinascere. Una credenza così radicata che persino Pitagora e i suoi seguaci proibivano di mangiarle, ritenendo che fosse come nutrirsi della testa dei propri antenati.

Anche nell’antico Egitto, i campi di fave erano associati ai luoghi in cui le anime dei defunti attendevano la reincarnazione. Nella tradizione folklorica italiana, inoltre, le fave sono un simbolo fallico e rappresentano i bambini maschi che nasceranno. Distribuirle durante la festa è quindi un gesto benaugurante, un’incantesimo che assicura lunga discendenza e prosperità.

Questa simbologia si arricchisce con il lancio dei taralli e la concomitante offerta delle pupatte, panicelle a forma di losanga che richiamano la fertilità femminile. Questo complesso rituale diventa così un inno alla vita, alla fecondità e al futuro, sottolineando il legame profondo tra spiritualità, tradizione e comunità.

Mangiare le fave non è solo un momento di festa, ma anche un atto di devozione, un gesto che stabilisce un contatto simbolico con San Nicola. Attraverso questo rito, i fedeli chiedono la protezione del santo, non solo per una vita terrena prospera ma anche per la vita eterna.

Un legame che attraversa i secoli

Questa tradizione, che si rinnova ogni anno, è più di un semplice evento religioso: è un momento di identità e appartenenza per l’intera comunità. Anche il ruolo delle reliquie custodite a Pollutri testimonia l’importanza di questo borgo nell’ambito del culto di San Nicola. La presenza del santo, protettore di marinai, viandanti e pastori, si lega profondamente alla cultura locale, fatta di transumanza e di scambi tra terra e mare. La festa di San Nicola non è solo un omaggio al passato, ma un ponte che unisce generazioni, valori e tradizioni. È un’esperienza che avvolge i sensi e il cuore, ricordandoci che, nei piccoli gesti di condivisione e solidarietà, vive ancora oggi lo spirito di uno dei santi più amati al mondo

Luca Martelli

Fonti bibliografiche “Transumanze

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