LA LUCE DI SANTA LUCIA: FEDE, SIMBOLI E ANTICHI RIMEDI POPOLARI

Di tutto il calendario, dicembre è certamente il mese più ricco di elementi culturali che, nel corso dei secoli, hanno assunto nuove forme senza mai tradire le loro radici. È un mese che potremmo definire una rete simbolica, dove l’astronomia si intreccia con i temi dell’inizio e della fine, della morte e della rinascita, accompagnati da storie, tradizioni e significati profondamente radicati. Il 13 dicembre è la festività dedicata a Santa Lucia, una giornata carica di significati profondi. È l’occasione perfetta per approfondire l’importanza di questa figura nel nostro calendario e il suo legame con il Solstizio d’Inverno, uno dei momenti cardine dell’anno. In questo articolo esploreremo inoltre alcuni edifici a lei intitolati, addentrandoci nel simbolismo che li avvolge. Andremo poi a scoprire come in Abruzzo, il culto di Santa Lucia si è intrecciato nel tempo con riti pagani legati al ritorno della luce, trovando espressione nei falò purificatori e nel simbolismo delle fave, associate a fertilità e rinascita. Ci addentreremo infine in un mondo ‘magico’, fatto di antichi rimedi e tradizioni tramandate di generazione in generazione. Tra folklore e saggezza popolare, scopriremo come materiali naturali e rituali venivano utilizzati per alleviare disturbi oculari come la congiuntivite e l’orzaiolo. Dai baccelli di fave ai rimedi con acqua di malva o lievito, passando per i rituali con aghi e filastrocche, queste tradizioni raccontano un passato fatto di fede e ingegno popolare.

Seguitemi in questo viaggio tra storia, cultura e spiritualità.

Un antico detto popolare recita: “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”, e non è raro infatti sentire persone affermare che, dal giorno successivo al 13 dicembre, le giornate inizino ad allungarsi. Ma è davvero così?

In realtà, dal punto di vista astronomico, il giorno più breve dell’anno coincide con il solstizio d’inverno, che cade intorno al 21 o 22 dicembre. Tuttavia, il detto continua a essere tramandato, sollevando una curiosità: da dove nasce questa espressione? Per rispondere, occorre fare un passo indietro nel tempo e addentrarci nelle origini storiche e culturali che hanno reso Santa Lucia una figura tanto importante, non solo nella tradizione religiosa, ma anche nel nostro immaginario collettivo. Prima, però, conosciamo meglio questa straordinaria santa, simbolo di luce e speranza.

Santa Lucia: la storia di una luce eterna

Santa Lucia nacque a Siracusa, in Sicilia, intorno al 283 d.C., in una famiglia benestante. Fin da giovane si distinse per la sua devozione cristiana, che la portò a consacrare la sua vita a Dio e a rinunciare al matrimonio. Secondo la tradizione, Lucia destinò la sua dote ai poveri, un gesto che suscitò l’ira del suo promesso sposo, il quale, per vendetta, la denunciò come cristiana durante le persecuzioni volute dall’imperatore Diocleziano. Fu arrestata e sottoposta a crudeli torture, ma rifiutò di rinunciare alla sua fede. Tra le leggende che accompagnano la sua storia, una delle più note racconta che i suoi occhi furono strappati dai persecutori, motivo per cui è venerata come protettrice della vista. Il suo martirio avvenne il 13 dicembre, data che coincide con la sua celebrazione nel calendario cristiano. Nonostante le sofferenze, Lucia divenne simbolo di luce e speranza, incarnando il significato del suo stesso nome, che deriva dal latino lux, ovvero luce. La sua popolarità si diffuse rapidamente, tanto che già nel Medioevo era una delle sante più venerate in Italia e nel Nord Europa. Oggi, Santa Lucia è patrona di Siracusa e di numerose altre città, e il suo culto si lega ai temi della luce che trionfa sull’oscurità, rendendola una figura simbolica per il periodo invernale e il solstizio.

Lo slittamento del calendario

E torniamo ora all’espressione che vede “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”, nonostante, come abbiamo già anticipato, il giorno più breve dell’anno cada invece il 21 o 22 dicembre. Per capire da dove nasce il detto popolare, occorre quindi fare un salto indietro nel tempo, fino all’epoca in cui il calendario giuliano era in uso.

Prima della riforma gregoriana, introdotta nel 1582 da Papa Gregorio XIII, il calendario giuliano aveva accumulato uno sfasamento rispetto al ciclo delle stagioni. Questo fece sì che, nei secoli, il solstizio d’inverno scivolasse progressivamente fino a cadere attorno al 13 dicembre. All’epoca, quindi, il giorno dedicato a Santa Lucia era effettivamente percepito come il più corto dell’anno, perché coincideva con il solstizio e l’inizio del lento ritorno della luce.

Papa Gregorio XIII

Con la riforma gregoriana, questo sfasamento fu corretto, e il solstizio d’inverno venne riportato al 21-22 dicembre. Nonostante ciò, l’espressione popolare legata a Santa Lucia continuò a essere tramandata, consolidandosi come un detto che custodisce in sé memoria e tradizione.

Santa Lucia, poi, con il suo nome che richiama la luce (lux in latino), sembra perfetta per rappresentare quel punto dell’anno in cui la natura si prepara a rinnovarsi, pronta ad accogliere il ritorno del sole. Anche se il giorno più breve si è spostato al solstizio, la santa è rimasta saldamente legata all’idea di speranza, luce e rinascita. E così, ancora oggi, il suo nome e il suo giorno continuano a raccontare una storia che intreccia scienza e simbolismo, confermandola come una figura che illumina il nostro immaginario collettivo.

Il Lungo viaggio di Santa Lucia

Dalla Sicilia all’Abruzzo ci passano il mare e circa mille chilometri, una distanza considerevole in un’epoca in cui i mezzi di trasporto erano rappresentati da muli, cavalli e carrozze. Eppure, il culto di Santa Lucia arrivò anche qui, diffondendosi lentamente in Abruzzo e, in seguito, nel resto d’Italia, affermandosi come il simbolo della luce e della speranza. Non sappiamo con certezza come il culto si sia diffuso: potrebbe essere giunto attraverso i tratturi della transumanza, grazie ai pastori abruzzesi che percorrevano lunghe distanze e assorbivano influenze culturali e religiose. Oppure, potrebbe aver viaggiato con comunità provenienti da regioni dove la devozione alla santa era già radicata. È possibile anche che la figura di Santa Lucia sia arrivata in Abruzzo grazie ai monaci, forse benedettini, noti per la loro opera di diffusione dei culti e per la costruzione di chiese dedicate.

Non è un caso che nella regione vi siano numerosi edifici sacri intitolati alla santa, come la chiesa di Santa Lucia a Magliano de’ Marsi e l’antica abbazia di Santa Lucia a Rocca di Cambio, entrambi esempi significativi della sua devozione. Inoltre, l’associazione di Santa Lucia con la luce ha facilitato la sovrapposizione del suo culto con antichi riti pagani legati al solstizio d’inverno, momento simbolico di passaggio tra le tenebre e il ritorno della luce.

Oggi, Santa Lucia è venerata in diversi borghi abruzzesi, dove il 13 dicembre si celebrano festività che intrecciano devozione religiosa e usanze popolari, mantenendo viva una tradizione che unisce storia, fede e cultura.

I rimedi popolari per gli occhi: fede e saggezza ancestrale

La figura di Santa Lucia, protettrice della vista, si intreccia in Abruzzo con una ricca tradizione di rimedi popolari legati alla cura degli occhi. Accanto alla devozione religiosa, la saggezza popolare offriva soluzioni per problemi come la congiuntivite, l’orzaiolo e altri disturbi oculari, spesso attingendo a materiali naturali e rituali tramandati di generazione in generazione.

Nonostante il detto popolare reciti “A uocchie e diente nen ce vo’ niente” (agli occhi e ai denti non serve nulla), nelle comunità abruzzesi si metteva in atto ogni tipo di rimedio per alleviare i disturbi oculari. Le “chiarate” o bagnature erano pratiche comuni, ma ogni zona sviluppò metodi particolari che riflettevano la cultura locale e il legame con la natura.

Per curare l’orzaiolo, la piccola ciste che si manifesta sull’occhio, ogni area dell’Abruzzo adottò soluzioni creative e specifiche. Questi rimedi, che mescolavano gesti pratici e credenze popolari, si rivelano oggi preziose testimonianze di un sapere che intreccia il sacro e il profano.

  • A Rosciolo, si crede che l’orzaiolo nasca quando non si soddisfano le voglie di una donna incinta.
  • A Magliano de’ Marsi, invece, si dice che colpisca le persone particolarmente avare.
  • A Ortona, sulla costa, l’orzaiolo è chiamato “yagnuólo” e si guarisce rovesciando la palpebra malata e soffiandovi sopra con forza.
  • A Silvi, Cellino Attanasio, Mutignano, Atri e Città Sant’Angelo, si affida la guarigione al settimo nato di una madre, considerato portatore di un potere speciale.
  • Ad Atri e Mutignano, l’orzaiolo si cura strofinandolo con ago e filo, mimando un gesto di cucitura, mentre si recita un dialogo rituale tra il malato e la guaritrice.

Anche per la congiuntivite, i diversi paesi abruzzesi svilupparono una serie di rimedi naturali che, tra antiche credenze e folklore, finirono per affermarsi nella memoria collettiva. Questi trattamenti, spesso tramandati oralmente, mescolavano elementi pratici e simbolici, mostrando un legame profondo tra la saggezza popolare e il territorio.

  • A Magliano de’ Marsi, si utilizzavano acqua di lattuga o di malva e impiastri fatti con lumache senza guscio pestate.
  • A Sulmona, erano preferite l’acqua della vite tagliata, l’acqua di rose fresche o quella di fonti da cui si erano abbeverati i cavalli.
  • A Bugnara, un impiastro a base di erba umida, lievito, cavolo e incenso maschio era il rimedio d’elezione.
  • Nella Marsica e nella Valle Peligna, si ricorreva ai baccelli di fava (scafe) o alle fave femmine (farfe), considerate più tondeggianti. Altri rimedi prevedevano l’applicazione di ostie rosse sulle tempie inumidite con saliva o rotelline di lana rossa attaccate con lievito (criscio).
  • A Introdacqua, si utilizzava esclusivamente il lievito, mentre a Ortona a Mare, si applicavano due scorze di limone per lenire il fastidio.

Il potere del simbolo e del rituale
In altre zone, il trattamento della congiuntivite prevedeva gesti e parole che combinavano la cura fisica con quella spirituale. A Palena, ad esempio, le uova lessate venivano tagliate a metà, private dei tuorli e posizionate sugli occhi, legate con una fascia. A Francavilla al Mare, il rituale più noto coinvolgeva la mano destra sugli occhi e la recitazione di una formula antica:

“Tre uocchie t’ha ducchiate,
non se sa se giùvene, viecchie o maritate,
ma tre sante t’ha ‘jutate”

(Tre occhi t’hanno adocchiato, non si sa se giovani, vecchi o maritati, ma tre santi t’hanno aiutato).

Rituali per curare l’occhio e il corpo estraneo:
Tra i rimedi più singolari vi è l’uso del cannello (un piccolo cilindro di paglia o canna): si soffia delicatamente sull’occhio irritato per stimolarne la lacrimazione e favorire la guarigione. A Francavilla al Mare, si accompagnava il gesto con una filastrocca rituale:

“Santa Lucie che va’ a ccavalle,
Pija ‘na noce e mannel’ abballe,
Ncu nnu tanne de fenuocchie,
Santa Lucie sta mmezz’ all’ uocchie.”

(Santa Lucia che vai a cavallo, prendi una noce e mandala a valle. Con un tanno di finocchio, Santa Lucia sta in mezzo all’occhio.)

Nella zona di Pratola Peligna, Roccacasale e Sulmona, per eliminare un corpo estraneo si chiudeva la narice opposta all’occhio irritato e si soffiava con forza dalla narice corrispondente, recitando un’altra formula tradizionale:

“Ciampa d’urze e core de lione,
Glie uocchie de màmmete e de pàtrete
So ggli cchiù pijore,
Nen glie pozza noce’ nisciune dulore.”

(Zampa d’orso e coda di leone, gli occhi di tua madre e di tuo padre sono i peggiori: non gli possa nuocere nessun dolore.)

Cateratte e guaritori:
A San Benedetto in Perillis, Anna Giuseppa Colella, una guaritrice nota per le sue abilità, trattava le cataratte con un metodo tanto semplice quanto sorprendente. Utilizzava uno spicchio d’aglio, mondato e acuminato, che strofinava leggermente sull’occhio, sollevando la palpebra e ripetendo l’operazione due volte al giorno. Diceva: “Dentro otto giorni la cateratta scompare.”

Queste pratiche non sono solo testimonianze della devozione popolare, ma anche un vivido esempio di come il sacro e il profano si siano intrecciati nel folklore abruzzese, mantenendo viva una tradizione che unisce la fede cristiana con credenze ancestrali.

La componente rituale nei festeggiamenti

La componente rituale è uno degli elementi essenziali che si sviluppa intorno alle rappresentazioni simboliche delle tradizioni. Nel caso delle celebrazioni di Santa Lucia, il fuoco diventa parte integrante di un rito arcaico che esprime purificazione, rinnovamento, ma anche luce e speranza. I grandi falò, accesi nelle piazze o nei luoghi simbolici dei borghi abruzzesi, richiamano antichi riti pagani legati al solstizio d’inverno e rappresentano un ponte tra passato e presente.

Questi fuochi, che illuminano la notte del 13 dicembre, diventano il cuore delle celebrazioni in onore di Santa Lucia, simbolo della luce che trionfa sulle tenebre. Il loro calore e la loro vivacità sono un segno tangibile di speranza e di attesa per il rinnovamento che il ritorno della luce porta con sé.

Accanto ai falò, le processioni rappresentano un altro elemento fondamentale. Esse richiamano il legame profondo della santa con la luce, evocando il suo martirio e la sua figura come portatrice di fede e guarigione. Questi momenti, che intrecciano devozione e comunità, testimoniano come il culto di Santa Lucia continui a essere vissuto con partecipazione e intensità in Abruzzo.

Santa Lucia è una figura simbolica strettamente collegata con il Solstizio d’Inverno

Festeggiamenti e spettacoli a Francavilla al Mare

Francavilla al Mare, uno dei centri più noti per il culto di Santa Lucia in Abruzzo, celebra il 13 dicembre con un insieme di riti sacri e profani. Dopo la messa, la statua della santa esce in processione, accompagnata dai fedeli. Al rientro della processione, nella piazza esterna della chiesa si innalzano palloni aerostatici (le “mongolfiere”) decorati con l’immagine di Santa Lucia. e in seguito prende vita il tradizionale spettacolo del ballo della pupa. Questo fantoccio femminile, realizzato con una struttura in cartapesta e riempito di petardi e bengala colorati, viene animato da un uomo che lo fa danzare al ritmo della musica. Durante la danza, i petardi si accendono in una sequenza spettacolare, culminando con una girandola posta sul capo della “pupazza”. La festa si conclude con fuochi d’artificio lanciati dalla spiaggia, illuminando il cielo e il mare in un’esplosione di colori.

I luoghi della devozione: Santa Lucia in Abruzzo

In Abruzzo, la figura di Santa Lucia trova spazio in alcuni dei luoghi più suggestivi della regione, dove fede, storia e bellezza naturale si incontrano, dando vita a un racconto che attraversa i secoli. Tra gli edifici e i siti più significativi spiccano chiese e romitori che, con le loro storie e tradizioni, rendono omaggio alla santa della luce.

Abbazia di Santa Lucia a Rocca di Cambio (AQ):
Adagiata ai piedi del Gran Sasso, questa antica abbazia romanica, fondata nel XII secolo, è uno dei simboli del culto di Santa Lucia in Abruzzo. L’edificio, caratterizzato da una semplicità austera, custodisce preziosi affreschi e rappresenta un luogo di pace e spiritualità. Dopo il terremoto del 2009, l’abbazia è stata restaurata, diventando un simbolo di rinascita per la comunità.

abbazia di Santa Lucia a Rocca di Cambio

Grotta di Santa Lucia a Farindola (PE):
Scavata nella roccia, questa grotta si erge come un luogo intriso di mistero e devozione. In passato, i pellegrini si recavano qui per bagnarsi gli occhi con l’acqua raccolta nelle piccole vasche naturali, cercando la protezione della santa per la vista. L’atmosfera sacra e l’unicità del luogo evocano un legame profondo tra l’uomo e la natura, riflettendo il simbolismo stesso di Santa Lucia come mediatrice tra divino e umano.

Chiesa di Santa Lucia a Magliano de’ Marsi (AQ):
Questa chiesa, arroccata su un colle, domina il paesaggio circostante con una vista che spazia tra montagne e valli. Risalente al XIII-XIV secolo, è un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, permettendo ai fedeli e ai visitatori di immergersi in un’atmosfera di contemplazione e silenzio.

chiesa di Santa Lucia a Magliano de’ Marsi

Prezza e i falò di Santa Lucia (AQ):
In questo borgo, il culto di Santa Lucia è vivo e vibrante. Una leggenda racconta che, durante il trasporto del corpo di Santa Lucia da Siracusa a Venezia per volere del Doge Enrico Dandolo, le reliquie sostarono a Prezza- Questo evento avrebbe alimentato la devozione locale, portando alla costruzione di una cappella votiva dedicata alla santa nel 1200. Ogni anno, il 13 dicembre, i devoti accendono grandi falò, che illuminano le strade e le piazze come simbolo di purificazione e speranza. È un momento di comunità e celebrazione, dove antiche tradizioni si intrecciano con la fede contemporanea, rinnovando un legame che dura da generazioni.

Il Doge di Venezia Enrico Dandolo

La Chiesa di Santa Lucia a Lanciano (CH):
Costruita nel XIII secolo sui ruderi di un antico tempio dedicato a Lucina, questa chiesa rappresenta uno dei luoghi più antichi del culto in Abruzzo. Fino a tempi recenti, il 13 dicembre si svolgeva una rinomata fiera davanti alla chiesa, con venditori di stoviglie, castagne e scaldini di terracotta (noti come veggi o “scalline”). Era tradizione che gli sposi acquistassero uno scaldino per le loro mogli, accompagnandolo con un’offerta di castagne. In chiesa, già dalle prime ore del mattino, venivano distribuiti amuleti di stagno raffiguranti due occhi, mentre nel pomeriggio i fedeli si facevano segnare con la reliquia della santa, chiedendo protezione per la vista.

Le chiese di Santa Lucia a Sulmona (AQ):
A Sulmona, la devozione alla santa si manifesta attraverso due luoghi emblematici. La Chiesa di Santa Lucia nel centro storico, risalente al XIV secolo, è stata un tempo un monastero celestiniano e oggi rappresenta un’importante testimonianza della tradizione religiosa locale. A Sulmona, la confraternita di Santa Maria di Loreto organizza una processione serale, rinnovando una tradizione secolare. La Chiesa di Santa Lucia nella frazione Marane, invece, si trova in un contesto rurale ed è aperta ogni 13 dicembre per la celebrazione della messa. Questo piccolo edificio, ricostruito nel XVIII secolo, è un esempio di come il culto della santa si sia radicato nelle comunità periferiche, mantenendo viva la sua devozione.

Santuario di Santa Lucia a Civitella Alfedena (AQ):
Secondo la tradizione locale, due monaci maroniti, fuggiti dalle persecuzioni in Oriente nell’VIII secolo, introdussero il culto di Santa Lucia in questa zona. La chiesa, situata su un colle che domina la valle, è caratterizzata da una pianta a croce greca, riflettendo influenze bizantine. Questo santuario, immerso nella suggestiva cornice del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, è un luogo che unisce spiritualità e bellezza paesaggistica, attirando ogni anno pellegrini e visitatori.

Le reliquie di Santa Lucia in Abruzzo

Il culto di Santa Lucia in Abruzzo trova ulteriore forza nella tradizione legata alle reliquie. Si narra che durante il trasporto del corpo della santa da Siracusa a Venezia, alcune delle sue reliquie abbiano fatto tappa nella regione. Tra queste, è significativo il caso delle reliquie conservate nella chiesa di Santa Lucia a Magliano de’ Marsi, che secondo la tradizione sarebbero state donate alla comunità locale per protezione e devozione. Questo legame con le reliquie ha contribuito a rafforzare il culto della santa e la sua percezione come figura di intercessione e guarigione.

Ogni luogo racconta una storia, un legame tra la santa e le persone che, nel corso del tempo, hanno trovato in lei un faro di luce e protezione. Santa Lucia, con il suo richiamo alla vista e alla luce, continua a ispirare e unire, rendendo questi luoghi non solo mete di pellegrinaggio, ma anche spazi di riflessione e bellezza senza tempo.

Rossella Tirimacco

Ricerche di Luca Martelli

Fonti bibliografiche ” Curiosità popolari tradizionali di Giuseppe Pitrè, Credenze usi e costumi abruzzesi di G. Finamore”

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