EPIFANIA E BEFANA, I MAGI, LA CALZA E LA SCOPA: STORIE DI SIMBOLI E RINNOVAMENTO

Mentre lentamente iniziamo a smontare l’albero, il presepe e tutti gli addobbi natalizi, per molti l’aria di festa è difficile da lasciar andare. Forse perché ci sono ancora storie da raccontare, e anche se la Befana è ormai ‘passata’, rimangono domande che aleggiano nell’aria, in attesa di risposte. Perché si chiama Epifania? Cosa collega i Re Magi a una vecchia che vola su una scopa? E cosa c’entra la calza con Gesù Bambino, il bue e l’asinello?

Queste sono solo alcune delle domande che riempiono i miei pensieri e che, in questo articolo, andremo a scoprire insieme.”

C’è un detto che dice: “Con l’Epifania tutte le feste porta via”. Eppure, il ciclo natalizio non si conclude esattamente con il 6 gennaio. Nel calendario liturgico, abbiamo ancora qualche giorno di festa, fino al 10 gennaio, con la celebrazione del Battesimo di Gesù.

Se però vogliamo rifarci alle tradizioni più antiche, quelle dei nostri nonni e degli avi che li hanno preceduti, scopriamo che il periodo natalizio era molto più lungo rispetto a oggi. Un tempo, infatti, il tempo di Natale iniziava con la Vigilia del 24 dicembre e terminava il 2 febbraio, giorno della Candelora, conosciuta anche come la Festa della Luce. Questo giorno rappresentava il sigillo naturale delle festività che chiudeva il ciclo con un gesto simbolico di rinnovamento e purificazione.

Col passare degli anni, questa tradizione si è affievolita, lasciando dietro di sé frammenti di un tempo che corre sempre più veloce. Oggi, già dalla sera dell’Epifania, molti hanno spostato la mente a Pasqua, dimenticando di assaporare ogni momento del presente. “Tagliare” le tappe è diventata una consuetudine, e con essa abbiamo perso parti importanti della nostra storia e del senso profondo delle tradizioni.

E allora, facciamo finta che queste feste non siano ancora finite. Fermiamoci. Assaporiamo ancora un giorno, poi un altro, e un altro ancora. Proviamo a guardare la Befana con occhi diversi: non solo una vecchina che vien di notte, né semplicemente i Magi che portano i doni al Bambino Gesù, ma una figura che simboleggia qualcosa di più profondo. La ruota che gira, il ciclo che si ripete, il tempo che invita al cambiamento.

L’inizio della nostra storia ha come protagonista proprio lei, la Befana: quella dolce vecchina, un po’ strega e un po’ madre del tempo, che porta doni ai bambini… e forse anche a noi adulti, se sappiamo ascoltare.

Siamo tutti cresciuti con l’immagine della Befana. Alzi la mano chi non è rimasto almeno una notte nella sua vita in trepidante attesa che questa nonnetta si calasse dal camino o entrasse dalle finestre per riempire la calza con i doni. Io, per esempio, l’ho aspettata fino agli otto anni. Forse a nove ho smesso di crederci. Quella della Befana è una storia che sa di magia e rende felici grandi e piccini.

C’è però un momento, per tutti (o quasi), in cui si comincia a leggere il calendario e si nota che il giorno 6 gennaio riporta la scritta “Epifania del Signore”. Da Epifania a Befana c’è un mondo di mezzo, e a livello semantico non sembra esserci alcuna coincidenza. Così, chiedere ai genitori o a chi per essi cos’è l’Epifania diventa una conseguenza logica. E la risposta, da generazioni, è sempre la stessa: “Sono i Re Magi arrivati nella grotta”.

Ricorderete anche voi i tre Re Magi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che seguono la stella cometa fino a Betlemme. Mamma me lo disse così: “Quella è l’Epifania”.

Agli occhi di un bambino, la spiegazione si traduce in una semplice equazione: Re Magi = Befana = Doni = Bambini. Fine della storia.

Ma poi, da grandi, arriva per tutti il momento in cui ci si chiede: Ma davvero l’Epifania è solo questo? O c’è qualcosa di più che non abbiamo mai esplorato?

Iniziamo con il significato della parola Epifania, che deriva dal greco epipháneia (ἐπιφάνεια) e significa manifestazione o apparizione. La festa nota con il nome della Befana celebra la rivelazione di Gesù Cristo al mondo, rappresentata nel cristianesimo occidentale dall’arrivo dei Magi a Betlemme.


Ma allora, che c’entra la Befana? Come si è passati dalla Rivelazione di Gesù Cristo ai Magi, a una vecchina che vola su una scopa e porta doni ai bambini?

Per rispondere, dobbiamo fare un passo indietro fino alle tradizioni pre-cristiane e agli antichi culti pagani legati al rinnovamento della natura. La Befana affonda infatti le sue radici nei riti agrari dell’antichità, legati al ciclo delle stagioni e alla fertilità. In molte culture pagane, una figura femminile anziana rappresentava l’anno vecchio che si chiudeva, portando doni simbolici per propiziare il futuro raccolto. La dodicesima notte dopo il Solstizio d’Inverno, considerata un momento di passaggio, era spesso celebrata con rituali che invocavano la protezione degli spiriti della natura e il rinnovamento.

Nell’antica Roma, la dea Strenia, simbolo di abbondanza e prosperità, veniva onorata con doni e riti propiziatori. La sua festa, le Strenalia, si celebrava all’inizio del nuovo anno, quando i Romani si scambiavano gli strenae, doni simbolici come rami di alloro o ulivo, augurio di felicità e fortuna per l’anno a venire. Si pensa che il suo culto avesse luogo in un bosco sacro sulla Via Sacra a Roma, vicino al Foro Romano, dove venivano raccolti i rami sacri per le cerimonie.

Il nome stesso strenna, che oggi utilizziamo per indicare un regalo natalizio, deriva da questa antica tradizione. Questo culto influenzò profondamente le tradizioni successive, gettando le basi per la figura della Befana. Con l’arrivo del Cristianesimo, molte tradizioni pagane vennero reinterpretate in chiave cristiana, e anche Strenia, insieme ad altre figure legate al passaggio dal vecchio al nuovo anno, fu assorbita e trasformata attraverso gli occhi della nuova religione.

La creazione o trasformazione di un personaggio ha sempre bisogno di una leggenda per affermarsi. Così, i nostri avi ne confezionarono una che racconta dei tre Re Magi, in viaggio verso Gesù Bambino, che si fermarono a chiedere indicazioni a una vecchina. Nonostante il loro invito ad accompagnarli, la donna rifiutò. Poco dopo, pentita, preparò un sacco di doni e li inserì nelle calze dei bambini del villaggio, appese vicino al camino. Da allora, vaga nella notte dell’Epifania, portando regali ai bambini nella speranza di incontrare Gesù.

La calza della Befana, divenuta nel tempo anche un oggetto di marketing, affonda le sue radici proprio in questa leggenda. Tuttavia, il suo significato va oltre. Nel simbolismo popolare, la calza rappresenta un contenitore pronto a essere riempito, un gesto di apertura verso il dono e il rinnovamento. Legata al fuoco del camino, cuore della casa e luogo di calore, la calza si ricollega agli antichi riti di fine anno, in cui il fuoco e i doni propiziavano abbondanza e protezione.

La Befana, con la sua scopa per spazzare via il vecchio e con la calza per accogliere il nuovo, divenne così una figura popolare che, con il suo sacco di doni, affiancava simbolicamente i Magi come portatrice di regali ai bambini. Un simbolo che unisce il sacro e il profano, un ponte tra passato e presente, capace di trasmettere un messaggio di rinnovamento e generosità.

Ma la Befana è molto più di una semplice tradizione popolare. Il suo aspetto di anziana, simbolo dell’anno vecchio che si chiude, incarna il desiderio di speranza e prosperità per l’anno nuovo attraverso i doni portati ai bambini. Persino il carbone assume un significato educativo, ricordandoci che ogni azione ha conseguenze e invitando alla riflessione e al miglioramento.

In un mondo in cui i simboli sembrano perdere di valore, la Befana continua a parlarci con un linguaggio universale che, anche se pensato per i bambini, racchiude insegnamenti preziosi per tutti. I simboli non hanno tempo: ci raccontano storie di vita e ci offrono spunti per crescere, sempre e comunque, se sappiamo ascoltarli.

Rossella Tirimacco

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