TEOFILO PATINI E “LA MORTE DI JACOPO ORTIS”

 

 

Il signor T accorse sperando di salvare la vita al suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta fra’ cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S’era piantato un pugnale sotto la mammella sinistra ma se l’era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e il fazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vicina. Era vestito del gilè. de’ calzoni lunghi e degli stivali; e cinto d’una fascia larghissima di seta di cui un capo pendeva insanguinato,…La ferita era assai larga, e profonda… Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero di sangue, se non che era alquanto polito nel mezzo… Stava su lo scrittoio la Bibbia chiusa e sovr’essa l’oriuolo; e presso, vari fogli bianchi; in uno de’ quali era scritto: Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si potea rilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno…

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis pag 123

Jacopo Ortis è il protagonista del romanzo di Ugo Foscolo “Ultime lettere di Jacopo Ortis”. E’ considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana. L’opera infatti, pubblicata per la prima volta nel 1798, è una raccolta di lettere che il protagonista “Jacopo” invia al suo amico Lorenzo Alderani. Il romanzo è ispirato ad una storia realmente accaduta, quella di Girolamo Ortis, uno studente di medicina nato a Vito d’Asio nel 1773. Il giovane, pochi mesi prima della sua laurea in medicina, il 29 marzo 1796 si tolse la vita. Egli alloggiava a Padova, presso il Collegio Pratense o dei Furlani, ed è durante la notte, nella sua stanza che mise fine alla sua giovane vita con due pugnalate, una al petto e l’altra alla gola.

Teofilo Patini, decise di mettere in scena il “dramma foscoliano” in una tela a olio 50×60 offrendo così al mondo la sua visione del giovane Ortis. Rispetto alla descrizione del Foscolo precisa, analitica, meticolosa nei dettagli, persino i più cruenti, la “narrazione” del Patini è invece libera nei particolari, “segnatamente rispetto all’abbigliato del giovane suicida, l’arredo della stanza, i vari suppellettili. Tanto libera da ingenerare infine addirittura qualche dubbio sulla reale identità del soggetto rappresentato. L’eroe patiniano è descritto in maniera accademica, con reminiscenze di calligrafismo anatomico evidente soprattutto nella descrizione del torace che emerge ansante dalla candida camicia squarciata (che rimanda concettualmente al personaggio ferito del Buon Samaritano) e nelle mani, la destra in totale abbandono, la sinistra serrata nella presa di un fazzoletto tragicamente intriso di sangue” (Pasquale Del Cimmuto “La morte di Jacopo Ortis”).

Il titolo dell’opera, fin  dalla prima citazione in letteratura (cfr. C. Savastano Patini e la sua gente, 1982, Tav. VIII/2) è  conosciuto come ” La morte di Jacopo Ortis”.  Si ritiene che venne realizzato durante il soggiorno romano dell’artista, in un periodo che oscilla tra il 1870 e il 1873. Noto per la sua stabile collocazione in Collezione Enzo Buzzelli di Novara, il dipinto fa parte delle tante opere meno note del Patini.  Il tema pittorico si pone a cavallo tra  il “carattere storico e quello borghese, espressa nel momento in cui già si andavano preparando i temi e gli stilemi della tematica cosiddetta “sociale”, la quale a mo’ di studio, non tralasciando l’approccio analitico alla figura si esercita tra l’altro con la anastatica descrizione di interni e quella altrettanto minuziosa di suppellettili domestiche che connoteranno poi alcune delle sue prove più celebrate a partire da L’erede.

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Serena La Civita

 

Citazioni e fonti : La morte di Jacopo Ortis