QUANDO LA TERRA DEI MARSI DIVENNE LA CULLA DELLA STREGONERIA

Il culto della dea Angizia è strettamente collegato con l’Abruzzo, con la magia  e con i serpenti. Secondo la leggenda infatti, la dea dimorava presso le acque del lago Fucino. Ad ella infatti, venne attribuita l’invenzione dell’arte magica e quella di incantare i serpenti. animali a lei sacri. A lei andava il merito di aver insegnato alle sue genti l’erboristica e il modo di rendere innocui i serpenti. La sua magia era così potente da prendere la luna nel cielo, comandar le acque dei fiumi e rendere brulle le montagne.Questa dea-maga era famosa per la sua abilità di curare gli avvelenamenti da morsi di serpente o cani rabbiosi; e attraverso le sue parole ed un suo semplice tocco, poteva uccidere i serpenti. Insegnò queste arti ai suoi seguaci,cioè i Marsi, i quali divennero ottimi maghi, indovini, incantatori di serpenti e guaritori e la loro terra fu considerata la culla della stregoneria. Nonostante fosse una dea o una potente maga, Angizia non riuscì però a salvare la vita a Umbrone, sacerdote e capo della rivolta dei Marsi contro Roma; per questo motivo la si vide spesso piangere sulle onde del Fucino, la sua casa, per la triste sorte del nobile condottiero. E pianse altre volte per il destino avverso delle sue genti, e ancora adesso il suo apparire nelle vicinanze di questo lago prosciugato è foriero di disgrazie. Così la descrive Cecilia Gatto Trocchi:

“Nel Fucino si tramanda di generazione in generazione la leggenda di Angizia, misteriosa dea pagana che Virgilio nominò una volta “Te nemus Angitiae” a proposito della morte di Umbrone. Secondo la credenza popolare Angizia abitava una grotta oscura nei pressi di Pescina e faceva le sue apparizioni di notte: la si vedeva spesso nelle sembianze di una maestosa matrona alta bellissima con un diadema di pietre preziose sul capo. Amava passeggiare sulle acide rive del lago del Fucino, come ogni genio tutelare che rispetti. Quando c’era la luna nuova, Angizia si innalzava lentamente fino a diventare gigantesca e sfiorare con il suo diadema il pallido cielo notturno. Poi si tuffava nell’acqua limpida. Scomparso il lago (prosciugato dai Torlonia),  la dea fu privata della sua delizia e da allora assunse un aspetto malinconico. Prima del terremoto del 1915 che distrusse i centri del Fucino, Angizia fu vista piangere lacrimando la grande sventura che pesava sulla sua gente […]. Da allora molte altre vole la grande dea fu vista piangere. (C. Gatto Trocchi “Favole abruzzesi”  tradotte da Giacoma Limentani, Mondadori, Milano 1999)

 

Nicoletta Camilla Travaglini “Dee, Fate, Streghe, dall’Abruzzo intorno al mondo”