LA LEGGENDA DI OVIDIO, IL MAGO DELLA VALLE PELIGNA

Publio Ovidio Nasone, è ritenuto uno dei massimi poeti della letteratura latina. Egli nacque a Sulmona il 20 marzo del 43 a.C. e morì a Tomi il 17 o il 18 d.C.
Della sua vita sappiamo poco, le uniche testimonianze arrivano da Ovidio stesso in una sorta di elegia autobiografica. Ciò ha alimentato diverse leggende intorno alla figura del poeta, una di questa lo vede in veste di mago. Andiamo a scoprirla…

La fama di Ovidio ha lasciato profonde tracce attorno a Sulmona. Come aveva predetto, egli è l’orgoglio e la gloria dei Peligni. Poiché Ovidio non era come tutti gli altri uomini, veniva considerato un semidio o il più grande dei maghi. Tutti i contadini conoscono il suo nome e la sua leggendaria storia. Una delle più antiche e solenni promesse in uso in questa zona, consiste nel giurare su Ovidio; dice Finamore: “Quando un contadino di Sulmona vuol pronunciare un’enorme bestemmia, getta a terra il suo cappello e urla: Mann’aggia Uiddiu (Abbia un malanno Ovidio!)”.
Ecco, la leggenda che qui si racconta sul grande mago Uiddiu. Ovidio fuggì di casa e scomparve. Infine venne trovato nel bosco di Angizia-cioè nel mistico boschetto della sacerdotessa, vicino Luco, sul lago Fucino. Lì stava imparando le arti magiche da un astrologo e da una strega della Marsica. Quando fu riportato a casa, egli cominciò a fare miracoli indicibili.

La statua di Ovidio in una delle principali piazze della sua città natale: Sulmona

Appena apriva bocca tutti restevano incantati dalle sue parole, poichè sapeva imitare il canto degli uccelli e ognuno ascoltava il canto che più gli piaceva. Crescendo, diventò un grande mago. In una notte costruì sul Morrone una magnifica villa circondata da giardini, vigni e frutteti e bagnata dalle acque di una fonte che oggi si chiama Fonte D’Amore. La villa era stupenda, aveva i porticati, logge, terrazze, bagni e magnifici affreschi. Poiché quel posto in precedenza era solo un pendio roccioso e frastagliato, pieno di picchi e burroni, adesso una gran quantità di gente vi accorreva per ammirare quella meraviglia. Allora, Ovidio, per punire la loro curiosità, trasformò con una sola parola tutti gli uomini in uccelli e le ragazze in lunghi filari di pioppi. Quando si venne a sapere di tale portento, tutta la campagna fu terrorizzata, molti si recarono dalla madre di Ovidio e la pregarono di chiedere al figlio che avesse pietà del luogo in cui era nato. Poi Ovidio fece apparire un grande cocchio con cavalli di fuoco e, salitovi sopra, raggiunse Roma in un batter d’occhio. Lì operò per lungo tempo come mago; con i denti di un enorme mostro e con le scintille del fuoco egli creava guerrieri, dava vita alle statue, trasformava gli uomini in fiori, ed i cervi in porci neri. Mutò anche i capelli di una donna in serpi e le gambe di altre in code di pesci. Ci fu gente che egli trasformò addirittura in isole!

La fontana di Fonte d’Amore

Ad una sua parola le pietre parlavano e tutto ciò che egli toccava diventava oro. Le fiamme divoravano la terra ed il mare si popolava di belle donne. Un giorno la figlia del re si innamorò del mago e questi di lei, ma al soprano ciò non faceva piacere; allora Ovidio disse al re: “Se tu non ci dai il tuo consenso, ti trasformerò in caprone con sette corna!”. Il re non gli rispose, ma una notte mandò i suoi soldati a casa del mago dove essi rubarono la bacchetta magica, lo incatenarono e portarono via in una terra lontanissima dove vivevano solo lupi e orsi, dove nelle foreste e sulle montagne c’era sempre neve e non faceva mai caldo.

Il tempio di Ercole Curino, dove, secondo la leggenda sarebbe stata costruita la famosa “villa di Ovidio”.

Lì il povero mago spirò, ma dopo la sua morte ritornò alla villa ed ogni sabato notte va con le streghe all’albero di noce che si trova a Benevento.
Questa è una delle poche leggende giunta completa ai giorni nostri, ce ne sono molte altre, ma sono quasi tutti racconti frammentari e incongruenti. Tra le tante imprese attribuite ad Ovidio, si racconta che egli era in grado di leggere con i piedi e se vedeva tirar su l’essenza di un libro, bastava che si mettesse in piedi su di esso. Questo spiega perché la statua di Sulmona lo rappresenta in piedi sopra un grosso volume.

 

Pubblicato da Redazione

Tratto da: Dee, Fate, Streghe dall’Abruzzo intorno al mondo, di Nicoletta Camilla Travaglini