IMMIGRAZIONE IERI E OGGI: VITE UMANE IN CAMBIO DI CARBONE, “MARCINELLE”

 

Il tema dell’immigrazione, ultimamente è molto sentito nel nostro Paese. La dilagante intolleranza verso lo “straniero” spesso viene fomentata da una politica che non tiene conto delle problematiche che si stanno creando all’interno di una società che non è mai stata razzista, ma che negli ultimi tempi, inizia a ribellarsi contro chi in nome di una “presunta” uguaglianza, cerca di far convivere insieme intere comunità con usi e costumi totalmente diversi e contrapposti, palesando ideologie utopiche come quella dell’integrazione. Ogni individuo porta dentro di sé un proprio bagaglio culturale e storico con cui si identifica e che mantiene saldo il suo senso di appartenenza. Ciò è fondamentale per la nostra psiche, sapere chi siamo e quali sono le nostre radici, rende l’individuo “mediamente” stabile ed equilibrato nello spazio dove si muove. Quando tali equilibri vengono minacciati o fortemente compromessi da situazioni che non si  riconoscono (ciò vale sia per il paese ospitante che per l’ospite) inizierà una lotta senza esclusioni di colpi dove ognuno cercherà di affermarsi sull’altro. Il risultato di questi nuovi “modelli di pensiero” è stato quello di modificare innanzitutto l’ambiente in cui l’uomo si è evoluto nel tempo ( basti guardare l’architettura e l’ambiente urbano) e non solo per l’arrivo di nuove realtà ma anche per via della cementificazione sfrenata che non ha alcun riguardo per l’ambiente originale. Ambiente che, lo ricordo, è fondamentale per il nostro equilibrio psicofisico.

 

 

Ciò ha dato il via alla creazione dei non-luoghi (soprattutto nelle grandi città) che hanno portato all’alienazione dell’individuo, incapace ormai di identificarsi con il luogo stesso da cui ha origine il suo senso di appartenenza. La nevrosi diventa quindi la diretta conseguenza di un’alienazione che deriva da un ambiente che non si riconosce più e dove gli uomini sono nemici tra di loro, soprattutto se l’altro è “diverso”. Ci basti pensare ad esempio alle  grandi città un tempo, meta di turismo, oggi totalmente invase da povera gente che sembra persa in un luogo a loro totalmente estraneo. Persone che troviamo  bivaccate nelle piazze, sotto i monumenti o nei giardini, persone che non sanno né dove si trovano né la ragione per cui quella “terra promessa” che tanto sognavano, di colpo si mostra così ostile. Ciò è normale, del resto chi è cresciuto in luoghi totalmente diversi, e che ha alle spalle secoli di  una cultura contrapposta al modello “occidentale”, una statua, un’opera d’arte, per come lo intendiamo noi, ne avrà un valore sicuramente differente. Non è quindi strano che in situazioni simili, la nevrosi faccia da padrona impedendo quindi quel  sano processo di raduno e comunione con altri individui. L’uomo sin dalla sua comparsa sulla terra, è stato un eterno migrante, da sempre si è mosso negli spazi a sua disposizione, ma se un tempo si muovevano in piccoli gruppi e in un lungo processo di adattamento con il nuovo ambiente e le culture che incontravano, si amalgamavano armoniosamente con quest’ultime, (anche facendosi guerra tra di loro) modificando e portando nuova linfa al territorio stesso. Un’immigrazione di questo tipo che non appare spontanea, ma piuttosto guidata per questione di interessi, al contrario non è tesa a favorire  l’adattamento e l’amalgamazione con la cultura del luogo, ma solo a rendere milioni d’individui nevrotici e in perenne lotta tra di loro… nella classica “guerra dei poveri”,  anche a causa di una politica scellerata che poco tiene in considerazione la psiche umana e le sue reazioni incontrollate di fronte alle situazioni di pericolo, anche se inesistenti.  Il problema non può essere liquidato con un semplice articolo, il tema centrale che si intende invece trattare  è dell’italiano ex migrante. Affinché vengano accettate leggi e nuovi modelli di pensiero, infatti, viene spesso ricordato, il tempo in cui l’italiano, era egli stesso, appunto un immigrato.
Così, abbiamo deciso di ricordare una delle più grandi tragedie derivanti dalla scellerata “politica dell’immigrazione” quando nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani. Metà dei 136 morti italiani erano abruzzesi. Una tragedia che tutti ricordano ancora oggi a Manoppello, Lettomanoppello e Turrivalignano. La presenza di un gran numero di abruzzesi era dovuta al fatto che questi erano particolarmente specializzati per i lavori in miniera, in quanto avevano acquisito una certa pratica in casa propria.  Le viscere della Majella infatti, erano state interessate dal 1840 al 1956 dai lavori per l’estrazione di roccia calcarea bituminosa, e al suo interno hanno lavorato centinaia di braccia (di uomini e donne) che hanno rappresentato il motore vivo di tutta un’intera zona d’Abruzzo. Gianluca Salustri .Abruzzo sconosciuto, Le miniere della Majella)

 

Rossella Tirimacco

 

                         Italiani morti in miniera: Marcinelle

 

di Giancerlo Restelli

 

 

Un giornale dell’epoca

 

Marcinelle, Belgio, 8 agosto 1956: nel Bois du Cazier muoiono 262 minatori. Tra di loro 136 sono italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 algerini, 2 francesi, 3 ungheresi, 1 inglese, 1 olandese, 1 russo e 1 ucraino.

Metà dei 136 morti italiani erano abruzzesi. Una tragedia che tutti ricordano ancora oggi a Manoppello, Lettomanoppello e Turrivalignano in Abruzzo; a Crotone, a San Giovanni in Fiore e a Castelsitrano in Calabria.

È una grande tragedia mineraria, è una grande tragedia dell’emigrazione italiana che è stata rimossa al pari di tutta la storia del lavoro italiano all’estero.

L’Abruzzo nel 1945 era un paese di fame, c’era la campagna povera e ancora più povera era la pastorizia. Manoppello e la vicina Lettomanoppello erano i due paesi degli scalpellini abruzzesi, abilissimi artigiani che plasmavano la pietra nera e bianca della Maiella. Ma il dopoguerra aveva seppellito questo mestiere e riempito la vita di stenti. Gli uomini emigravano in America, in Australia, in Francia. E in Belgio!

140mila emigranti italiani erano stati attirati in Belgio da manifesti che comparivano in tutte le città italiane. I manifesti dicevano:“Solo 18 ore di treno per arrivare in Belgio”; erano indicati i salari, sicuramente migliori rispetto a quelli italiani. E poi tante promesse: “Assenze giustificate per motivi di famiglia, carbone gratuito, biglietti ferroviari gratuiti, premio di natalità, ferie, vitto e alloggio presso la cantina della miniera, contratto annuale…”. E poi la promessa che faceva decidere per il sì: “Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”.

 

La locandina

 

Promesse e realtà

Tante promesse sui manifesti di color rosa… ma non era vero niente!

Per esempio nei manifesti rosa della silicosi non c’era traccia. Così come non c’era traccia del terribile grisù, il gas che si sprigionava dalle pareti delle miniere e uccideva incendiandosi.

Contro il grisù i minatori tenevano in tasca dei topolini e portavano a centinaia di metri di profondità dei canarini. Canarini e topi avrebbero avvertito per primi la presenza del gas, morendo.

Se un minatore dopo aver firmato per 5 anni (!) si rifiutava di scendere in miniera o lasciava il cantiere veniva arrestato e condotto in prigione con un regime alimentare degno di un lager nazista. Doveva rispettare il contratto!

Il ruolo del governo italiano

Il governo italiano aveva incentivato l’emigrazione, dopo il ’45, da un paese sconfitto e umiliato dalla guerra. L’Italia non aveva materie prime ma aveva braccia in eccesso? I nostri governi trovarono la soluzione: da ogni emigrante in Belgio l’Italia avrebbe avuto quintali di carbone a basso costo per le industrie del triangolo industriale.

Ma non c’è solo la fame di energia: il governo italiano stipula con quello belga un accordo di tipo schiavistico: nessuna garanzia per la sicurezza del lavoro, nessuna assicurazione seria sulla salute, sugli incidenti, sulla vecchiaia. I nostri emigranti: un gregge da sfruttare a buon mercato!

Del resto lo stesso De Gasperi disse con particolare cinismo: “Che imparino le lingue! Che emigrino!” quando qualcuno obiettava che i nostri emigranti avrebbero avuto molte difficoltà nei nuovi Paesi tra cui quelle linguistiche.

Infatti nel marzo del ’46 il governo italiano firma un accordo con il governo belga in cui si sancisce che “per ogni scaglione di 1000 operai italiani che lavoreranno nelle miniere, il Belgio esporterà verso l’Italia: tonn. 2500 mensili di carbone se la produzione sarà inferiore a tonnellate 1.750.000-  tonn. 3500 mensili per 2 milioni di tonnellate. –  5000 mensili per più di 2 milioni di tonnellate.”. E’ un cambio uomini per carbone.

Il governo quindi si impegna a mandare nei 5 distretti carboniferi belgi 2000 lavoratori alla settimana senza chiedere garanzie e nessuna sicurezza sul lavoro. Risultato, dal 1946 al 1963 i morti italiani nelle miniere belghe saranno 867. Nel 1956 oltre ai 136 dell’8 agosto ce ne sono altri 50.

 

Lavoro in miniera

 

Che cosa avvenne?

L’incidente di Marcinelle avvenne l’8 agosto del 1956 nel Bois du Cazier a 975 metri di profondità. La dinamica dell’incidente mette in evidenza l’assoluta precarietà del lavoro dei minatori.

Alle 8.30, poco dopo l’inizio del primo turno di lavoro, uno dei due addetti alle operazioni di carico dei vagoncini carichi di carbone, il molisano Antonio Iannetta, carica un vagone pieno nell’ascensore ma qualcosa non va.

Due vagoncini colmi di carbone vengono caricati sulla gabbia-ascensore. Il secondo carrello è mal posizionato.

Il vagonetto vuoto strappa una putrella e questa rompe una conduttura dell’olio, i cavi vengono contemporaneamente tranciati e l’olio sprizza sulla corrente provocando una fiammata. Escono 850 kg di olio. L’incendio è alimentato dall’aria compressa e dai ventilatori d’areazione.

Si sprigiona subito una fiamma che è alimentata dall’olio e dalle tante strutture in legno del pozzo. L’incendio è alimentato soprattutto dalla ventilazione necessaria per portare aria a quella profondità.

L’incendio, di inaudita violenza, si estende in tutta la miniera: un banale incidente di carico si è trasformato in un disastro.

Non esistono condizioni di sicurezza nella miniera: le strutture portanti delle gallerie sono tutte in legno, le porte anti incendio, che separano le gallerie, sono in legno; non esistono porte stagne, non esistono vie di fuga, la maschere anti gas sono poche e inservibili….

In queste condizioni anche un banale incidente diventa una tragedia. Nel Bois di Cazier 274 minatori restano intrappolati nelle gallerie percorse dal fuoco che brucia tutto, un torrente di fuoco alimentato dall’impianto di ventilazione. Dove non arriva il fuoco arriva il fumo che satura progressivamente i due pozzi.

Solo 12 (?) si salveranno, 262 morirono: alcuni bruciati, molti invece soffocati dal fumo.

 

Il giorno del disastro

 

Perché avvenne la tragedia? Due cause soprattutto

“Insufficienza delle misure di sicurezza e il sistema salariale” (cottimo), che impediva una adeguata manutenzione.

Il Bois du Cazier è la prima miniera in Vallonia, aperta nei primi decenni dell’Ottocento. Aveva strutture a dir poco antiquate. Avrebbe dovuto essere chiusa ma il prezzo internazionale del carbone dopo il ’45 permetteva a questa vetusta miniera di rimanere attiva.

– non aveva estintori e potenti tubi dell’acqua in caso di incendio

– i minatori non avevano maschere antigas con l’ossigeno

– non c’erano vie di fuga. Il Foraky (il nuovo pozzo) non era stato ancora unito al pozzo di discesa. C’era una barriera di cemento che non era stata ancora forata

– le porte stagne erano in legno. Tutte le strutture erano in legno mentre nelle miniere moderne era largamente utilizzato il ferro. Le porte stagne in legno è una contraddizione in termini

– là sotto non c’è personale specializzato per le operazioni di soccorso e per spegnere incendi

– l’ascensore era in legno e non in ferro come altre miniere

– i soccorsi arrivarono tardi, dopo due ore dall’inizio della tragedia. Non furono utilizzati gli ascensori nella fase iniziale, poi precipitarono al fondo della miniera

– il primo giorno hanno allagato la miniera, “ma l’acqua con quel calore è diventata vapore acqueo ed era bollente, e questo è stata forse la rovina definitiva per quelli che c’erano là sotto”. Hanno voluto salvare la miniera o salvare vite umane?

 

I funerali

 

Assoluta mancanza di sicurezza:

– i cavi dell’alta tensione sono a diretto contatto con i tubi che portano olio bollente sotto pressione per il movimento dell’ascensore. I cavi della corrente dovevano essere interrati oppure collocati dalla parte opposta. L’olio è infiammabile

– i responsabili della miniera diranno che non sapevano che l’olio era infiammabile!

– i relais non funzionano perché nessuno aveva mai fatto la manutenzione (servono per bloccare l’erogazione dell’energia elettrica?)

– l’aria compressa e i potenti ventilatori fanno di un banale incendio qualcosa che divora la miniera

Come si lavorava in miniera?

– la temperatura all’interno arrivava anche a 40-50 gradi. Si lavorava nudi o seminudi.

– La polvere di carbone prendeva la gola e si depositava nei polmoni (in prospettiva c’era la morte o l’invalidità per silicosi).

– Con il martello pneumatico si lavorava nelle “taglie” alte da 30 centimetri a un metro, spesso si lavorava sdraiati o sulle ginocchia con il martello pneumatico tra le mani. Paradossalmente il m.p. leniva la fatica rispetto al piccone ottocentesco ma aumentava notevolmente il pulviscolo.

– Le nuove vene erano aperte con l’esplosivo: rischi di crolli e aumento della polvere

Il Razzismo

Erano pochi i locali dove gli italiani potevano entrare. In molti c’era scritto: “Ni chiens ni italien”. Oppure si sentivano dire: “Sales macaronì” (andate via macaroni)

 

Il razzismo subito dagli italiani

 

Le condizioni di vita

Dopo il viaggio in treno fino a Cherleroi i lavoratori sono alloggiati in baracche che erano state utilizzate dai tedeschi per i prigionieri di guerra sovietici, polacchi e francesi e poi le stesse baracche dagli americani per i prigionieri tedeschi. Non c’erano servizi all’interno e l’acqua era a una fontana per tutti.

 

Gli hangar in cui vivevano i minatori italiani a Marcinelle. Solo pochi anni prima erano sede di un campo di prigionia nazista.

 

Marcinelle non è l’unico incidente grave che funesta l’emigrazione italiana, la lista è lunga, ma per il momento vogliamo soffermarci su questa tragedia, tanto per ricordare ” l’italiano migrante” in fuga da proprio Paese per un tozzo di pane. Per rispetto di chi ha conosciuto l’immigrazione e ha toccato da vicino il razzismo peggiore, per rispetto di chi è stato barattato dal proprio Paese come merce da sfruttare… per il gran numero di morti, quando alcuni politici cercheranno di giustificare un’importazione di massa di migranti, con la scusa che “Anche l’italiano è stato migrante”,  è opportuno che qualcuno ricordi loro che da sempre i governi  barattano vite umane per denaro, ieri come oggi.  La tragedia di Marcinelle ci mostra quale sia stata la vera vita dei molti italiani migranti, nessuna politica di “accoglienza”, né case gratis, né bonus, né vitto di cui lamentarsi. Certo, oggi i tempi sono cambiati… le modalità dell’accoglienza sono diverse e apparentemente migliori… ma le ragioni che si nascondono dietro ad un’apparente bontà, son sempre le stesse “il denaro” e lo sfruttamento di un “gregge umano”.

 

 

Rossella Tirimacco

 

 

Fonte dell’articolo Italiani morti in miniera: Marcinelle di Giancarlo Restelli